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In un contesto sociale ed ecomomico fatto di precarietà occupazionale, ritardi nei pagamenti stipendiali e costi della vita elevati, il rischio di non riuscire a pagare regolarmente il canone d’affitto è purtroppo una realtà concreta per molti.
Ma come si evolve la situazione se il locatore decide di agire legalmente?
E, più nello specifico, è possibile opporsi a uno sfratto esecutivo?
La risposta è ovviamente positiva, ci si oppone allo sfratto esecutivo costituendosi in giudizio e creando la propria difesa.
In questo articolo analizzeremo in dettaglio le modalità con cui un inquilino può difendersi da un’intimazione di sfratto, tutelando i propri diritti e cercando di evitare l’allontanamento forzoso dalla propria abitazione.
Per capire come opporsi ad uno sfratto esecutivo bisogna partire dal concetto chiave di questo provvedimento.
Detto in parole semplici, il giudice ordina all’inquilino moroso di lasciare l’immobile, a seguito della mancata esecuzione spontanea della sentenza di convalida dello sfratto.
Sui generis, tale procedura è preceduta da un’intimazione di sfratto per morosità.
La notifica viene fatta al conduttore quando non ha pagato il canone di locazione entro il termine stabilito dal contratto (che in genere consente un ritardo massimo di 20 giorni dalla scadenza mensile).
Sfratto esecutivo - Getty Images
A questo punto, a notifica posta in essere, si fissa un’udienza di convalida.
Pertanto, se entro quel giorno l’inquilino non ha saldato il debito né presenta opposizione fondata, il giudice può convalidare lo sfratto e autorizzarne l’esecuzione coattiva.
QUuando si riceve una notifica di intimazione di sfratto la prima reazione utile è non ignorare l’intimazione
L’atto notificato ha al suo interno informazioni utili, quale l’indicazione della data dell’udienza e delle somme dovute.
È importantissimo presentarsi in tribunale il giorno stabilito, con o senza assistenza legale, per poter esercitare il proprio diritto di difesa.
L’inquilino ha a disposizione tre opzioni principali: pagare tutto il debito prima della prima udienza, chiedere termine di grazia o opporsi allo sfratto.
La prima è la soluzione più rapida per evitare lo sfratto. Il pagamento deve comprendere i canoni arretrati, gli interessi e le spese legali eventualmente anticipate dal locatore.
La seconda soluzione, ovvero chiedere il termine di grazia (ai sensi dell’art. 55 della Legge 392/1978) consente al giudice di concedere una proroga fino a 90 giorni per consentire all’inquilino di sanare la morosità, in presenza di difficoltà economiche comprovate.
Nel terzo caso invece se si ritiene che l’intimazione sia infondata o vi siano circostanze che giustifichino la morosità, è possibile chiedere che il giudice non convalidi lo sfratto.
L’opposizione allo sfratto esecutivo può essere ritenuta valida e con valenza solo se fondata su motivi giuridicamente validi.
Altresì va sostenuta da prove documentali.
Tra le principali motivazioni che l’inquilino può far valere:
Motivi opposizione sfratto esecutivo - Getty Images
È opportuno evidenziare che l’onere della prova è sempre in capo all’inquilino.
Per questo motivo è fondamentale conservare ogni ricevuta di pagamento, comunicazione o documento che dimostri le proprie ragioni.
In linea di massima, l’opposizione deve essere presentata il giorno dell’udienza indicata nell’intimazione di sfratto.
Tuttavia, l’art. 668 del codice di procedura civile ammette la possibilità di opposizione tardiva quando l’inquilino non ha potuto comparire per irregolarità nella notifica dell’atto o caso fortuito o forza maggiore (malattia grave, eventi eccezionali, ecc.).
L’opposizione, però, non è più ammessa se sono passati almeno 10 giorni dall’esecuzione dello sfratto.
In caso di ammissibilità, il giudice può disporre la sospensione dell’esecuzione per gravi motivi e subordinare tale sospensione al versamento di una cauzione.
Nel contesto di una procedura di sfratto per morosità, l'inquilino ha la possibilità, in sede di udienza di convalida, di richiedere al giudice l'applicazione del cosiddetto termine di grazia, in alternativa alla proposizione formale di un'opposizione.
Si tratta di un istituto previsto dall’art. 55 della Legge n. 392 del 27 luglio 1978, volto a offrire un'ultima possibilità al conduttore inadempiente per rientrare della propria esposizione debitoria nei confronti del locatore.
Il termine di grazia è uno strumento eccezionale che può essere concesso dal giudice qualora emerga, sulla base di documentazione attendibile, che il mancato pagamento dei canoni o degli oneri accessori è dovuto a gravi difficoltà economiche in cui versa il conduttore.
La finalità è quella di evitare che una momentanea condizione di indigenza si traduca automaticamente nella perdita dell’abitazione.
La legge stabilisce dei limiti temporali precisi per il rientro del debito.
Fino a 90 giorni dalla data dell’udienza di convalida, nei casi ordinari e fino a 120 giorni.
Termini di grazia - Getty Images
Il tutto presenza di condizioni soggettive particolarmente meritevoli di tutela, come ad esempio stato di disoccupazione, età superiore ai 65 anni, grave infermità personale o di un componente del nucleo familiare.
Qualora il conduttore non provveda all’integrale pagamento del dovuto entro il termine fissato dal giudice, il procedimento di sfratto proseguirà senza ulteriori possibilità di sospensione, e lo sfratto per morosità verrà definitivamente convalidato.
In tal caso, il locatore potrà procedere all’esecuzione forzata dello sfratto secondo le modalità previste dal codice di procedura civile.
Anche quando la convalida dello sfratto è stata emessa, è possibile ritardarne l’esecuzione verificando la correttezza formale della documentazione.
Errori o omissioni possono essere rilevanti, ad esempio notifica dell’atto non conforme, mancanza dell’indicazione dei 10 giorni per l’adempimento volontario (nel precetto), notifica a indirizzo errato o a persona non legittimata a riceverla.
Ritardare esecuzione - Getty Images
Il giudice non può bloccare lo sfratto in assenza di motivazioni valide e documentate, ma può concedere spazi di manovra a chi si dimostra in buona fede e intenzionato a regolarizzare la propria posizione.
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