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Il codice civile, nelle norme dedicate al condominio negli edifici, disciplina la figura dell'amministratore dedicandogli direttamente due articoli, il 1129 e il 1130, più uno delle disposizioni di attuazione, l'art. 71-bis, inerente i requisiti della persona che può assumere tale incarico.
Chi è l'amministratore di condominio?
La figura dell'amministratore, questa la risultante della lettura delle norme fornita dalla giurisprudenza, è una figura assimilabile al mandatario con rappresentanza (su tutte si veda Cass. SS.UU. n. 9148/08).
A questa presa di posizione si è poi adeguato il Legislatore che, novellando le norme condominiali (legge n. 220 del 2012), ha specificato che al rapporto amministratore – condominio oltre a quanto previsto dall'art. 1129 c.c. si applicano le norme dettate in materia di mandato.
In buona sostanza, l'amministratore è una persona cui l'assemblea dei condòmini conferisce incarico di porre in essere in propria vece una serie di atti e fatti giuridicamente rilevanti e connessi alla gestione e conservazione delle parti comuni nell'interesse collettivo.
Si badi: sebbene non manchino sentenze che specificano che l'amministratore è mandatario pro-quota dei singoli condòmini – stante l'assenza di personalità giuridica della compagine – è bene sempre tenere a mente che l'azione del mandatario, nel caso di condominio negli edifici, non è mai diretta alla soddisfazione dei singoli interessi, ma di quello collegiale espresso a mezzo dell'assemblea.
Il principio solidaristico che informa tutta la disciplina condominiale emerge anche in quest'ambito e diversamente non potrebbe essere: così non fosse, nessun amministratore potrebbe agire contro un proprio mandatario per recupero i crediti da esso dovuti in relazione alla gestione e conservazione delle cose comuni.
Come si accennava in principio, l'art. 71-bis delle disposizioni di attuazione del codice civile – introdotto in legge dalla così detta riforma del condominio – specifica una serie di requisiti per l'assunzione dell'incarico.
Tali requisiti possono essere così suddivisi:
a) requisiti di onorabilità (es. assenza condanne penali di particolare genere e/o gravità, godimenti diritti civili, ecc.);
b) requisiti culturali (essere minimo in possesso di un diploma di scuola secondaria di secondo grado);
c) requisiti professionali (avere seguito un corso di formazione iniziale e seguire annualmente quelli di formazione periodica).
Rispetto alle ultime due voci, il legislatore ha previsto delle eccezioni:
a) diploma e corsi di formazione iniziale e aggiornamento periodico non sono necessari per i così detti amministratori interni, ossia per gli amministratori scelti tra i condòmini;
b) diploma e corso di formazione iniziale non sono necessari per quegli amministratori che hanno svolto l'attività per almeno un anno nel triennio precedente la data di entrata in vigore della riforma.
Lo stesso articolo 71-bis specifica che l'incarico di gestione può essere conferito anche a società di persone o di capitali, purché in tal casi i requisiti siano posseduti dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condomini a favore dei quali la società presta i servizi.
Vedremo in seguito le conseguenze connesse alla mancanza/perdita dei requisiti.
L'art. 1129, primo comma, del codice civile, specifica che la nomina dell'amministratore di condominio è obbligatoria quando vi sono più di otto condòmini.
Nove condòmini, ossia nove differenti proprietari di altrettante unità immobiliari (i comproprietari della stessa unità ai fini di tale conteggio vanno considerati come un solo condòmino), è il numero a partire dal quale la nomina è obbligatoria, ossia deve essere decisa dall'assemblea, che, se non riesce o comunque non decide, può essere sostituita per tale incombente dall'Autorità Giudiziaria.
Per la nomina è sempre necessario – cioè tanto in prima quanto in seconda convocazione – che sia raggiunto il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti all'assemblea che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio.
Solo se obbligatoria la nomina può essere disposta da un giudice, nei casi di facoltatività tale opzione è esclusa, a meno che non si arrivi alla nomina nell'ambito del più ampio procedimento individuato dall'art. 1105 c.c. che serve alla sostituzione dell'assemblea inerte da parte dell'Autorità Giudiziaria.
Una volta nominato, l'amministratore è tenuto all'adempimento di un serie di obbligazioni individuate dall'art. 1129 c.c., nonché diviene titolare di una serie di attribuzioni indicate dall'art. 1130 c.c.
Alcuni esempi con la norma di riferimento. L'amministratore è tenuto:
a) a comunicare i propri dati nonché i luoghi e giorni nei quali è possibile la visione di una serie di documenti (i registri condominiali che deve tenere aggiornati);
b) aprire o se già presente volturare e utilizzare un conto corrente per ogni specifico condominio amministrato;
c) indire l'assemblea per l'approvazione del rendiconto entro 180 giorni dalla chiusura dell'anno di gestione;
d) eseguire le delibere assembleari;
e) erogare le spese e riscuotere i contributi eventualmente anche per via forzosa, con obbligo di farlo, ove non dispensato dall'assemblea, trascorsi centottanta giorni dalla chiusura dell'esercizio;
f) eseguire gli adempimenti fiscali (versamento ritenuto d'acconto, ecc.);
g) tenere i registri condominiali (registro di anagrafe, di nomina e revoca, dei verbali e registro di contabilità);
h) compiere gli atti conservativi delle parti comuni (ossia disporre interventi manutentivi e se del caso instaurare giudizi per evitare danni e/o pregiudizi alle suddette parti comuni).
Questi i principali obblighi e attribuzioni che l'amministratore è tenuto ad adempiere e porre in essere. Altri obblighi possono essere individuati da altre disposizioni legislative che nel corso degli anni possono avere individuato nella figura dell'amministratore l'esecutore di determinati e specifici incombenti: ciò è avvenuto soprattutto in ambito fiscale e tributario (si pensi all'obbligo di comunicazione all'Agenzia delle Entrate, ai fini della dichiarazione dei redditi precompilata).
Non dar seguito alle imposizioni previste dalla legge può essere causa di revoca anche giudiziale.
Al pari della nomina, la revoca è atto primariamente di competenza assembleare.
I quorum deliberativi per tale decisione sono gli stessi indicati per la nomina.
La revoca può essere sempre disposta dall'assemblea, cioè in qualunque momento e senza che sia necessario il ricorso di un giustificato motivo.
La sua assenza può essere al più considerata ragione per l'amministratore revocato di domandare il risarcimento del danno per mancato guadagno (si veda ad es, Cass. SS.UU. n. 20957/2004).
Oltre alla strada assembleare vi è quella giudiziale: in tale ipotesi, però, il ricorso al giudice non è automatico, ma dev'essere sorretto da particolari ragioni e in alcuni casi da una preventiva prova di revoca assembleare. Vediamo meglio che cosa si intende.
La revoca giudiziale, dice l'art. 1129, undicesimo comma, c.c. può essere disposta:
a) quando ricorrono gravi irregolarità nella gestione;
b) quando l'amministratore non ha informato l'assemblea della notificazione di un atto giudiziario o amministrativo esorbitante dalle sue competenze;
c) quando l'amministratore non ha aperto e utilizzato il conto corrente condominiale o ha commesso gravi irregolarità fiscale.
In questi ultimi casi (quelli indicati alla lettera a c) ), la richiesta di revoca giudiziale dev'essere preceduta da un tentativo di rimozione dell'amministratore per via assembleare.
Quanto alle gravi irregolarità, è bene specificare che l'art. 1129 dodicesimo comma, c.c. ne contiene un elenco meramente esemplificativo. Come dire: può essere considerata tale ogni condotta che comporta per il condominio una possibilità fondata di danno.
Si badi: se l'amministratore è incappato in una grave irregolarità, ad esempio non ha fatto transitare tutte le somme dal conto corrente condominiale, la revoca non è automaticamente disposta dall'Autorità Giudiziaria; questa, come specifica l'art. 1129, undicesimo comma, c.c. può disporla, ma non è obbligata a operare in questo senso.
Che cosa succede se l'amministratore di condominio, essendovi tenuto, non si aggiorna cioè non segue un corso di aggiornamento di quelli previsti dal decreto ministeriale?
La questione è aperta e dibattuta. Motivo: mentre per la perdita dei requisiti di onorabilità la legge è chiara, ossia l'amministratore decade dall'incarico automaticamente ex lege, per l'assenza di requisiti di professionalità non vi è alcuna specifica indicazione.
Una sentenza resa dal Tribunale di Padova il 24 marzo 2017 riguardante la nomina di un amministratore sprovvisto di certificato di aggiornamento segna un punto a favore della tesi che vede in questa mancanza un'ipotesi di nullità della delibera.
In buona sostanza l'amministratore deve essere aggiornato e deve dimostrarlo (ove richiesto, la comunicazione di tale certificato ai condòmini non è obbligatoria). Dove ciò non sia fatto, è possibile per il condominio agire in giudizio per l'invalidazione della delibera di nomina. Nel caso in cui anche in giudizio tale certificato non venisse fuori, la deliberazione dovrebbe essere considerata nulla.
La nullità implica la possibilità di impugnare la delibera anche a mesi di distanza e non solamente entro i trenta giorni indicati dall'art. 1137 c.c. come accade per le deliberazioni annullabili.
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