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Se la strada di accesso al complesso residenziale è conforme alla misura prescritta nel regolamento comunale, ma non risponde alle misure indicate nel progetto approvato, è possibile conseguire il certificato di agibilità?
Secondo la recentissima sentenza del Consiglio di Stato n. 3786/2015 dell'1 agosto 2015, no.
Nel caso sottoposto alla decisione del Consiglio di Stato in commento, uno dei comproprietari dei terreni su cui gravava la strada di accesso a un complesso residenziale impugnava l'agibilità conseguita per silenzio-assenso in relazione ad alcuni immobili di detto complesso.
La impugnava asserendo che la larghezza della strada era inferiore a quella indicata nel progetto approvato.
Affermava inoltre che nel computo della larghezza non poteva includersi lo spazio del cordolo del muro d'argine del torrente vicino, appartenente al demanio idrico; spazio la cui utilizzazione la Regione aveva concesso solo in via transitoria.
Pertanto, impugnava detto certificato, dal momento che l'art. 25, d.p.r. n. 380/2001 prescrive che il certificato può essere rilasciato solo se l'opera è conforme al progetto approvato.
In primo grado il Tribunale Regionale Amministrativo aveva respinto il ricorso, dunque ritenuto che il certificato di agibilità fosse valido, con la motivazione che la concessione edilizia non prevedeva per il rilascio la larghezza minima della strada; secondo, che la strada rispettava comunque i limiti del regolamento comunale e che nella larghezza doveva computarsi anche il cordolo del muro d'argine del torrente, dal momento che dai documenti doveva evincersi che l'utilizzazione sarebbe stata concessa senza limiti di tempo una volta conseguita l'agibilità (v. C.d.S. n. 3786/2015).
La decisione del Consiglio di Stato accoglie il ricorso condividendone il motivo e così specificando.
Viene premesso che l'unico titolo abilitativo di riferimento nella questione è la concessione edilizia, avente natura prettamente pubblicistica; infatti, si chiarisce che la costruzione sui terreni tra cui vi era quello del ricorrente era avvenuta senza alcun titolo civilistico idoneo per utilizzare i terreni.
Ciò premesso, il Consiglio di Stato nega che il calcolo della larghezza della strada possa comprendere anche il muraglione poiché dalle carte nel loro complesso, documenti di cui - si dice in sentenza - si è perso traccia nel procedimento promosso dalla società per conseguire l'agibilità, si desume chiaramente cha la volontà degli enti preposti – Comune e Regione – era contro l'utilizzo a tempo indeterminato del cordolo del muraglione.
Risulta infatti che la strada fu concessa solo come strada di cantiere e che addirittura il sindaco aveva disposto la sospensione della concessione edilizia proprio sul presupposto che la larghezza del muraglione non poteva essere ricompresa nel calcolo della larghezza.
In definitiva - si dichiara in sentenza - dagli atti e dai fatti richiamati emerge che la larghezza della strada di mt. 3,50, come indicata in progetto, non è stata realmente realizzata sì da integrare gli estremi della difformità denunciata ex art. 25 d.P.R. 380/2001, ostativa al conseguimento per silenzio-assenso dell'abitabilità.
La strada faceva infatti parte del progetto che era stato presentato ai sensi dell'art. 20, d.p.r. n. 380/2001 per il rilascio del permesso di costruire... corredato dalla dichiarazione del progettista, asseverante la conformità del progetto agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi vigenti e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia, fra le quali – per quel che qui più rileva – le norme sulla sicurezza.
Peraltro, rileva il Consiglio di Stato come quella strada presenti criticità del percorso causalmente riconducibili alla presenza del torrente... individuabili in particolare nel rischio idrogeologico connesso all'uso di quel territorio, come evidenziato nella cartografia allegata alla carta del dissesto della Valle d'Aosta.
Un elemento di fatto che certamente accende ancor più l'attenzione verso la potenziale pericolosità della strada e sottolinea l'esigenza di una più attenta valutazione da parte del Comune in relazione alla presenza delle condizioni per la concessione dell'agibilità.
D'altro canto, funzione dell'agibilità è proprio quella di garantire che l'immobile abbia, tra gli altri, i requisiti di sicurezza; ad esempio, è stato chiarito che con il certificato di abitabilità dell'immobile il Comune attesta la presenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli edifici e degli impianti tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa vigente (v. Tar Lecce n. 294/2013).
Inoltre, già in precedenza la giurisprudenza ha chiarito che l'art. 25 subordina il rilascio del certificato di abitabilità non solo all'aspetto igienico-sanitario (salubrità degli ambienti), ma anche alla conformità edilizia dell'opera realizzata rispetto al progetto approvato: e ciò per la innegabile stretta correlazione fra i due momenti valutativi (v. Tar Trento n. 145/2003).
Sostanzialmente, ai sensi del Testo Unico sull'edilizia, decorsi i termini assegnati dalla legge al Comune per la concessione del certificato di agibilità, questo si ha per concesso.
Resta comunque il potere del Comune di intervenire successivamente: ad esempio, è stato stabilito che il Comune, una volta decorsi i termini per la risposta espressa alla domanda di agibilità e formatosi dunque il cosiddetto silenzio-assenso di cui all'art. 25, dp.r. n. 380/2001, può sempre intevernire in autotutela nel caso di titolo abilitativo illegittimo o di dichiarazioni mendaci (v. Tar Lazio n. 6580/2013).
L'intervento in autotutela è, in termini semplificati, quell'attività con cui l'ente pubblico, che ne ravvede la necessità per motivi di interesse pubblico, decide di tornare, come dire, sui suoi passi e di modificare le decisioni già adottate al fine di comporre conflitti già in essere o potenziali.
Tale decisione viene adottata dall'ente di propria iniziativa o su impulso di terzi, ma autonomamente, senza cioè l'ordine di un giudice.
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