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I muri perimetrali di un edificio in condominio, come dice la stessa parola, sono quei manufatti che delimitano gli spazi in essi compresi. Considerando questa definizione di muro perimetrale è evidente che la stessa può coincidere con quella di muro di confine, ossia di muro avente la funzione di delimitare una determinata proprietà.
Può, si è detto, ma non deve; motivo?
È ben possibile che il muro perimetrale di un edificio in condominio non sia anche il muro di confine dell'intera proprietà condominiale.
Sovente, infatti, tra edificio e pubblica via vi sono piccoli spazi destinati a cortile, a parcheggio, o comunque zone di passaggio che distanziano il muro perimetrale dall'effettivo confine tra proprietà privata (condominiale) e proprietà pubblica.
Può anche accadere che tra muro perimetrale e strada pubblica vi sia uno spazio privato – sempre del condominio – ma alcun muro di confine propriamente detto.
I muri perimetrali non sono specificamente menzionati dall'art. 1117 c.c. che elenca – sia pur solo esemplificativamente – le parti comuni di un edificio.
Proprio questa natura esemplificativa dell'elencazione ha permesso di affermare comunque la condominialità di alcuni beni (si pensi ai giardini comuni).
Proprio sui muri perimetrali, la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che essi anche in quelle ipotesi in cui non hanno natura e funzioni di muri maestri, poiché delimitano la superficie coperta dell'edificio, così determinando la sua consistenza volumetrica ed altresì poiché hanno la funzione di proteggere gli agenti termici e atmosferici, e ne tratteggiano la sagoma architettonica - sono da considerarsi parti comuni tra tutti i condomini anche nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di proprietà singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il perimetro esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani attici (Cass. 21 febbraio 1978, n. 839, in senso conf. Cass. 2 marzo 2007, n. 4978).
Questa distinzione tra muro perimetrale e muro di confine propriamente detto è tutt'altro che una differenziazione eseguita a fini meramente descrittivi, ma consente anche di valutare diversamente gli eventuali interventi edilizi che i condòmini potrebbero andare ad eseguire su tali manufatti.
Entriamo nel dettaglio.
È legittimo il comportamento di un condomino che per mettere in comunicazione due sue proprietà ubicate in differenti edifici apra un varco su un muro perimetrale dell'edificio?
È questa, nella sostanza, una di quelle ipotesi rispetto alle quali di può porre il problema della liceità di una simile condotta.
In effetti, a meno che non si vogliano ipotizzare arbitrati sconfinamenti, è difficile che una persona mediamente civile decida di sfondare un muro per annettere con la forza una proprietà di altra persona alla sua.
Il problema si pone in quanto esiste una norma del codice civile, l'art. 1102, che legittima da parte di tutti i condòmini l'uso dei beni comuni a proprio personale vantaggio, purché ciò venga fatto nel pieno rispetto del pari diritto degli altri comproprietari e sempre che l'utilizzazione non sia lesiva dalla destinazione e della stabilità dell'edificio (la Cassazione ha esteso i limiti anche al divieto di alterazione del decoro architettonico dell'edificio).
È bene, rispetto a casi come quello sopra descritto, la Corte di Cassazione si è pronunciata molte volte e sostanzialmente sempre nello stesso senso. L'apertura di un varco sul muro perimetrale che consenta di mettere in comunicazione la proprietà di un condomino con altra sua proprietà ricadente però in altro edificio è da ritenersi illegittima.
Il motivo sta nelle possibili conseguenze gravanti sulla proprietà comune, cioè sul muro perimetrale e di conseguenza sui diritti di ciascun condomino rispetto a questo bene.
Come si legge in sentenza, infatti, questo modo di utilizzare una parte comune dell'edificio comporta la cessione a favore di soggetti estranei al condominio del godimento di un bene comune ed inoltre ne altera la destinazione, giacché in tal modo viene imposto un peso sul muro perimetrale che dà luogo a una servitù, per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i partecipanti al condominio (Cass. 5 aprile 2011 n. 7748).
Quindi: aprire un varco sul muro perimetrale al fine di mettere in comunicazione due proprietà della stessa persona, una delle quali sia in altro edificio rappresenta un utilizzazione illegittima ai sensi dell'art. 1102 c.c.
Diverso il caso in cui uno dei condòmini (o la stessa assemblea) decidano l'apertura di un varco sul muro perimetrale che sia anche muro di confine con la strada pubblica: in tal caso la legittimità va valutata in relazione alla sicurezza, al decoro, alla stabilità, ed al diritto al pari uso, ma non sicuramente rispetto alla destinazione, dato che funzione propria del muro di confine è quella di delimitare e quindi regolare l'accesso ad una proprietà.
In relazione al pari utilizzo delle cose comuni ai sensi dell'art. 1102 c.c. è utile specificare che bisogna considerarlo alla stregua di un diritto d'uso identico e contemporaneo, ciò perché la regola dettata dall'articolo appena citato altro non ha inteso che attribuire a ciascuno dei condòmini la possibilità di esercitare la più intensa utilizzazione delle parti comuni avendo cura che ogni utilizzazione sia compatibile con quella che potrebbero farne gli altri; quel che va valutato, di volta in volta, rispetto al singolo caso è il giusto equilibrio tra le esigenze di tutti, tenendo sempre presente che nei rapporti condominiali vige un principio solidaristico (cfr. in tal senso, tra le tante, Cass. 5 ottobre 2009, n. 21256).
Che cosa succede se i condòmini praticano aperture, ad esempio finestre (del genere luci o vedute, cfr. art. 900 c.c.) oppure porte finestre per dare maggiore aria e luminosità ambienti interni o comunque per creare un nuovo accesso al proprio balcone o al giardino di loro esclusiva proprietà o condominiale?
Anche in questo caso si tratta di valutare la legittimità dell'uso di un bene comune ai sensi dell'art. 1102 c.c. E non solo: trattandosi di opere incidenti anche sulla proprietà esclusiva, bisogna fare riferimento anche all'art. 1122 c.c., che nel considerare legittime le opere del condominio sulla sua proprietà – legittime e non soggette ad autorizzazione condominiale, ma a semplice comunicazione – gli impone comunque di intervenire nel rispetto della sicurezza, della stabilità e del decoro del condominio stesso.
Sull'argomento non sono mancate nel corso del tempo numerose prese di posizione sia della giurisprudenza nella sua accezione più ampia (Cassazione, Tribunali, Giudici amministrativi, ecc.).
Il risultato è sempre lo stesso: queste aperture sono legittime purché rispettino i dettami indicati dall'art. 1102 e 1122 c.c.
Il Tribunale di Salerno, con la sentenza n. 67 dell'8 gennaio 2016, ha ricordato che i proprietari delle unità immobiliari possono utilizzare i muri comuni, nelle parti ad esse corrispondenti, sempre che l'esercizio di tale facoltà disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 cod. civ., non pregiudichi la stabilità ed il decoro architettonico del fabbricato ovvero la proprietà di singoli condomini e che di conseguenza è da considerarsi legittima, entro detti limiti, l'apertura di una o più finestre o porte in corrispondenza degli appartamenti, eventualmente ampliando anche quelle già esistenti.
A sostegno di questa propria presa di posizione il Tribunale campano ha citato precedenti pronunciamenti di Cassazione, tra i quali la sentenza n. 5122 del 31 maggio 1990.
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