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Il testo della Legge di Bilancio sta prendendo forma. Dopo il via libera da parte della Ragioneria si è in attesa dell’ok del Parlamento che dovrà arrivare entro fine anno.
Tra le novità messe in campo dal governo stanno suscitando particolare clamore tra cittadini, associazioni e forze politiche le nuove norme relative ad affitti brevi e cedolare secca.
 Affitti brevi Legge di Bilancio - foto Getty Images
Affitti brevi Legge di Bilancio - foto Getty Images
Prima di entrare nel nodo cruciale della questione facciamo un passo indietro e spieghiamo cosa sono gli affitti brevi e in cosa consiste il regime fiscale della cedolare secca.
Gli affitti brevi sono contratti di locazione di durata limitata, generalmente inferiore ai 30 giorni per ciascun ospite, stipulati per finalità turistiche o transitorie. 
Si tratta di una formula sempre più diffusa in Italia, soprattutto nelle grandi città e nelle località turistiche.
Secondo la normativa italiana (articolo 4 del D.L. 50/2017), un contratto di locazione breve è un accordo tra persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di un’attività d’impresa e che riguarda immobili abitativi. 
Il contratto può includere la fornitura di servizi accessori come biancheria o pulizie finali, ma non servizi tipici delle strutture alberghiere (colazione, reception, ecc.).
Gli affitti brevi possono riguardare appartamenti interi o singole stanze all’interno di un’abitazione, purché l’immobile sia accatastato come uso abitativo. 
Non è necessario registrare il contratto all’Agenzia delle Entrate se la durata è inferiore ai 30 giorni, ma è obbligatorio rilasciare una ricevuta e rispettare gli obblighi fiscali.
Gli affitti brevi rappresentano un’ottima opportunità per chi desidera mettere a reddito un immobile senza vincolarsi a un contratto di lunga durata. 
Tuttavia, è importante effettuare la comunicazione degli ospiti alla Questura tramite il portale “Alloggiati Web”.
Inoltre, in molte città, vi è l’obbligo di registrazione presso i registri comunali o regionali.
 Affitti brevi manovra 2026 - foto Getty Images
Affitti brevi manovra 2026 - foto Getty Images
In sintesi, si tratta di una soluzione flessibile e redditizia, ma deve essere gestito con attenzione dal punto di vista fiscale e normativo, per evitare sanzioni e operare in modo trasparente.
La cedolare secca è un regime fiscale agevolato previsto per chi affitta immobili ad uso abitativo. 
Consiste in un’imposta sostitutiva che prende il posto dell’IRPEF, delle addizionali regionali e comunali, nonché dell’imposta di registro e dell’imposta di bollo dovute per la registrazione del contratto di locazione. 
Chi opta per la cedolare secca, paga una tassazione fissa sul reddito da affitto, senza ulteriori imposte accessorie.
Il proprietario dell’immobile può scegliere, al momento della stipula o della registrazione del contratto, di applicare la cedolare secca. Le aliquote previste sono due:
L’opzione per la cedolare secca comporta anche la rinuncia all’aggiornamento del canone di locazione, compreso l’adeguamento ISTAT.
Il regime della cedolare secca può essere applicato anche ai contratti di locazione breve, cioè quelli di durata non superiore a 30 giorni, stipulati tra persone fisiche al di fuori dell’attività d’impresa. 
La possibilità è stata introdotta dal Decreto Legge 50/2017, che ha regolamentato il fenomeno degli affitti turistici e delle locazioni gestite tramite piattaforme online come Airbnb, Booking o Vrbo.
Quando si sceglie la cedolare secca sugli affitti brevi, il reddito percepito è tassato con l’aliquota del 21%, per un contratto avente ad oggetto un immobile scelto dal proprietario. 
Attenzione: se il proprietario gestisce più di quattro appartamenti destinati ad affitti brevi, l’attività può essere considerata imprenditoriale, perdendo così la possibilità di applicare la cedolare secca.
Vediamo a questo punto quali sono le novità che potrebbero essere inserite nella prossima Legge di Bilancio 2026.
Ecco una panoramica aggiornata in materia di cedolare secca applicabile agli affitti brevi (contratti di locazione abitativa inferiore ai 30 giorni).
Occorre tuttavia fare estrema attenzione perché trattasi di testo normativo ancora in fase di approvazione, quindi suscettibile di modifiche.
Dopo una prima ipotesi in base alla quale era stato previsto l’innalzamento per tutte le abitazioni affittate al 26% dell'aliquota della cedolare secca, c’è stato un dietrofront a seguito delle numerose polemiche che ne sono conseguite.
 Cedolare secca - foto Getty Images
Cedolare secca - foto Getty Images
Tuttavia, nella versione bollinata dalla Ragioneria Generale dello Stato è stata introdotta una condizione.
L’aliquota del 21% viene mantenuta solo se l’unità immobiliare è locata senza ricorrere a intermediari (agenzie immobiliari) o portali telematici (ad esempio Airbnb, Booking.com) che mettono in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono dell’unità da locare.
In tutti gli altri casi verrà applicata, come inizialmente previsto, un’aliquota paro al 26%. 
Se non si utilizza piattaforme o intermediari e si affitta direttamente l’immobile (a persona fisica) la cedolare al 21% resta applicabile ad un solo immobile.
Da non dimenticare che la stima effettuata con la relazione tecnica indica che circa il 90% degli immobili locati con formula breve utilizzano piattaforme/portali e rientrerebbero quindi nella fascia dell’aliquota più elevata. 
Rispetto all’impostazione originale della disposizione non è dunque stata apportata una grande variazione, quanto meno non una significativa.
La misura è considerata uno strumento per disincentivare la trasformazione sistematica degli immobili abitativi in locazioni turistiche, soprattutto nelle grandi città e favorire maggior disponibilità di abitazioni per uso residenziale.
Resta comunque forte la contestazione da parte delle associazioni di categoria (come ad esempio Confedilizia) che ritengono la soglia del 21% “quasi inapplicabile” e la norma “una patrimoniale camuffata” sui proprietari occasionali.
È importante verificare alla data effettiva del contratto come sarà la normativa definitiva, dato che la differenza tra 21 % e 26 % può avere un impatto fiscale rilevante.
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