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È usuale, lo dicono le statistiche ed il vivere quotidiano, che le liti più frequenti (non solo quelle che affollano le aule di giustizia) siano quelle tra vicini; si tratta di quelle che vengono genericamente chiamate liti condominiali.
Vedremo qui di seguito come in questa definizione si concentrino controversie che molto spesso vedono il condominio solamente come sfondo.
C'è chi si lamenta per l'uso della radio ad alto volume a ogni ora del giorno e della notte.
C'è chi ritiene intollerabili gli odori del barbecue che il proprio vicino ha installato su sul balcone.
I motivi di screzio sono tanti e l'elenco potrebbe continuare ancora per molto: sedie strisciate per terra, rumore provocato dai tacchi, sgocciolamento dei panni, caduta costante di oggetti per terra, urla, ecc.
Il più delle volte queste controversie vengono definite liti bagatellari, per rimarcarne la scarsa importanza: questa definizione, probabilmente non tiene in considerazione il fatto che molti di questi contrasti, sovente, assumono importanza fondamentale nella vita quotidiana finendo per deteriorare rapporti umani – e quindi giuridici – piuttosto che ricomporli; senza dimenticare le ipotesi – minoritarie ma certo non mancanti – di casi di liti tra vicini che sfociano il fatti delittuosi.
In questo contesto non è raro che i condòmini, esasperati dalle intemperanze dei propri vicini, si rivolgano all'amministratore di condominio chiedendo un aiuto per risolvere il problema.
Cosa può fare il mandatario dei comproprietari?
Quali i suoi poteri?
A ben vedere, in queste circostanze i poteri dell'amministratore di condominio sono molto limitati.
Il mandatario dei condòmini, come dice chiaramente l'art. 1130 c.c., ha degli obblighi d'intervento solamente con riferimento alle parti comuni dell'edificio.
Nell'ambito delle prerogative e delle incombenze che la legge pone in capo all'amministratore di condominio non ve n'è alcuna che direttamente riguarda l'obbligo di gestire o intervenire nelle liti tra vicini in generale.
Ciò non vuol dire che non esistano fattispecie in relazione alle quali il mandatario non abbia alcun potere o obbligo. Leggendo bene le norme che disciplinano le principali prerogative dell'amministratore si colgono due le eccezioni:
a) quando le intemperanze dei uno dei comproprietari creino danno o pericolo di danno per le cose comuni. In tal caso il legale rappresentante dei condomini avrebbe diritto d'intervenire a tutela delle stesse.
b) il regolamento di origine contrattuale vieti espressamente determinate condotte.
In queste circostanze, ai sensi dell'art. 1130, primo comma nn. 1 e 2, c.c., l'amministratore è tenuto ad intervenire, agendo anche per le vie legali, al fine di ottenerne il rispetto.
In definitiva è possibile affermare che in assenza delle due condizioni appena citate non v'è da meravigliarsi se alla richiesta d'intervento formulata all'amministratore lo stesso dica che non è nel suo potere intervenire.
Si sente spesso dire che quello dell'amministratore di condominio, nell'ambito dei rapporti tra vicini è anche un ruolo di mediatore tra le diverse istanze che possono confliggere.
In effetti, come si diceva in principio, non è raro che i condòmini interpellino il loro legale rappresentante per ottenere la risoluzione di problemi rispetto ai quali, formalmente, non ha alcun potere.
Il caso probabilmente più frequente è quello della TV ad alto volume. Si è detto che in simili circostanze l'amministratore non ha alcun obbligo di intervento.
Assenza di obblighi, tuttavia, non vuol dire assenza di opportunità. È vero, nulla farebbe di illecito se l'amministratore declinasse la richiesta d'intervento del condomino.
Uscendo dal campo per comportamenti giuridicamente doverosi, tuttavia, in termini di relazioni interpersonali l'intervento del mandatario potrebbe assumere un valore pari se non maggiore al corretto espletamento dei suoi compiti.
Un amministratore di condominio che intervenendo grazie alla sua autorevolezza ed esperienza riesce a comporre una lite o comunque un contrasto, probabilmente è apprezzato allo stesso modo se non di più di quello che tiene correttamente il registro di anagrafe condominiale.
Chiaramente le due attività non sono alternative e il rispetto dei compiti impartiti dalla legge resta imprescindibile (non si può utilizzare come giustificazione della mancata apertura di un conto corrente intestato al condominio, l'aver fatto da paciere nelle liti sul pianerottolo), ma la competenza nella gestione dei conflitti rappresenta un aspetto sempre più importante nel bagaglio professionale di un amministratore.
Gestione dei conflitti nello spirito di risoluzione bonaria vuol dire prima di ogni cosa capacità di ascolto e comprensione delle parti finalizzato ad accompagnarle verso una soluzione che non sia imposta dall'alto – a meno che ciò non sia richiesto – ma sia il frutto del dialogo stesso tra le medesime.
Nulla vieta che siano le parti congiuntamente a rivolgersi all'amministratore di condominio per chiedere a lui una soluzione della questione che le sta facendo litigare; in questa ipotesi la soluzione proposta dall'amministratore non ha alcun valore vincolante se le parti non si siano impegnate a rispettarla.
Il ricorso alla mediazione prevista dal d.lgs n. 28 del 2010 oppure alle altre procedure di risoluzione alternativa delle controversie (acronimo in lingua inglese è ADR) può essere un modo più efficace di risoluzione delle liti tra vicini?
La risposta, ad avviso di chi scrive, è positiva se chi ha un problema vuole risolverlo senza avere assieme a tale necessità quella di ottenere un'affermazione giudiziale di colpevolezza della controparte.
Chi non sopporta la TV ad alto volume del proprio vicino, oppure il rumore di tacchi e sedie ad ogni ora del giorno e delle notte, probabilmente ha più a cuore che questi fatti cessino al di là del fatto che la cessazione avvenga perché l'ha sentenziato un giudice, oppure l'hanno deciso degli organismi che gestiscono la risoluzione alternativa delle controversie.
Certamente non sfugge che molte di queste procedure necessitano di una convergenza di intenti delle parti per risolvere il conflitto. Insomma la mediazione, al pari dell'arbitrato e di ogni altro metodo alternativo di risoluzione del conflitto ha bisogno dell'adesione di entrambe le parti. Un processo (civile o penale) può essere celebrato in contumacia, un procedimento di mediazione, invece, non prevede questa soluzione.
È chiaro, quindi, che l'assoluta sordità del nostro interlocutore a risolvere bonariamente o comunque fuori dalle aule di giustizia la controversia rappresenta un ostacolo insormontabile che fa diventare necessitata la strada della giustizia ordinaria.
È utile ricordare che le controversie tra vicini che non riguardino le parti comuni dell'edificio o comunque la proprietà non sono soggette al tentativo obbligatorio di mediazione previsto dal d.lgs n. 28 del 2010.
L'attivazione della procedura, quindi, non è doverosa, ma semplicemente volontaria.
A ben vedere, in queste circostanze i poteri dell'amministratore sono molto limitati.
Il mandatario dei condomini, come dice chiaramente l'art. 1130 CC, ha degli obblighi d'intervento solamente con riferimento alle parti comuni dell'edificio.
Egli, infatti, a mente del primo comma di tale articolo, deve:
1) eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini e curare l'osservanza del regolamento di condominio;
2) disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini;
3) riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni;
4) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio.
Nessun riferimento ad obblighi d'intervento per risolvere i contrasti tra vicini.
In questo contesto, comunque, sono due le eccezioni:
a) le intemperanze dei uno dei comproprietari creino danno o pericolo di danno per le cose comuni. In tal caso il legale rappresentante dei condomini avrebbe diritto d'intervenire a tutela delle stesse.
b) il regolamento di origine contrattuale vieti espressamente determinate condotte.
In queste circostanze, proprio ai sensi dell'art. 1130, primo comma n. 2, CC, l'amministratore sarebbe tenuto ad intervenire, agendo anche per le vie legali, al fine di ottenerne il rispetto.
In definitiva è possibile affermare che in assenza delle due condizioni appena citate non v'è da meravigliarsi se alla richiesta d'intervento formulata all'amministratore lo stesso dica che non è nel suo potere intervenire.
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