L'installazione di cancelli in condominio o la loro automazione può essere deliberata a maggioranza semplice non dovendo essere considerata un'innovazione ex art. 1120.
Cancelli in condominio
La questione dell'installazione dei sistemi di automazione dei cancelli condominiali o comunque l'installazione di cancelli per la chiusura delle parti comuni, si pensi ai cancelli pedonali, non è sempre stata pacifica.
Leggendo la giurisprudenza, infatti, non era difficile trovare sentenze che affermassero la natura innovativa di tali interventi; da un po' di tempo a questa parte, tuttavia, l'orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità va nel senso opposto.
La differenza, ai fini della deliberazione di queste opere non è di poco conto.
Le maggioranze previste dall'art. 1136, quinto comma, c.c., infatti, sono tutt'altro che semplici da raggiungere e anche se la riforma (l. n. 220/2012) le ha riviste abbassandole leggermente, il compito per l'assemblea resta comunque difficile.
Tutta colpa, è il caso di dire, dell'assenza di una definizione chiara d'intervento innovativo; la legge n. 220/2012 non ha migliorato la situazione.
E allora, per risolvere la questione della natura dell'intervento di automatizzazione del cancello o d'installazione ex novo di un cancello pedonale in un tratto carrabile, è necessario guardare alle pronunce giurisprudenziali in materia.
Automazione e apposizione di cancelli
Una sentenza della Cassazione, la n. 4340 del 21 febbraio 2013, ha risolto la questione optando per la natura non innovativa dell'intervento in esame. La pronuncia parte proprio dal concetto d'innovazione.
Gli ermellini hanno ricordato che in tema di condominio, per innovazioni delle cose comuni devono intendersi non tutte le modificazioni (qualunque opus novum), ma solamente quelle modifiche che, determinando l'alterazione dell'entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti.
In altre parole, nell'ambito della materia del condominio negli edifici, per innovazione in senso tecnico-giuridico, da deliberarsi con le maggioranze di cui agli artt. 1120-1136 c.c., deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirino a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lascino immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto (Cass. 21 febbraio 2013, n. 4340).
Questo il principio di carattere generale.
In questo contesto, affermarono da Piazza Cavour, le deliberazioni concernenti l'apposizione, all'ingresso dell'area condominiale, di due cancelli per il transito pedonale e due cancelli per il passaggio veicolare, non potevano ricondursi al concetto di innovazioni come qualificate dall'art. 1120 c.c., non comportando alcun mutamento di destinazione delle zone condominiali ed essendo, anzi, dirette a disciplinare, in senso migliorativo, l'uso della cosa comune impedendo a terzi estranei l'indiscriminato accesso al condominio, soprattutto considerando che, nel caso di specie, al piano terra del fabbricato esisteva un istituto scolastico provvisto di autonomo cortile e, quindi, un luogo aperto al pubblico con conseguente possibilità di un transito continuo di persone estranee alle collettività condominiale.
Da queste considerazioni fu tratto il seguente principio di diritto: in tema di condominio di edifici, la delibera assembleare, con la quale sia stata disposta la chiusura di un'area di accesso al fabbricato condominiale con uno o più cancelli per disciplinare il transito pedonale e veicolare anche in funzione di impedire l'indiscriminato accesso di terzi estranei a tale area, rientra legittimamente nei poteri dell'assemblea dei condomini, attinendo all'uso della cosa comune ed alla sua regolamentazione, senza sopprimere o limitare le facoltà di godimento dei condomini, non incidendo sull'essenza del bene comune né alterandone la funzione o la destinazione (cfr., per idonei riferimenti, Cass. n. 9999 del 1992 e Cass. n. 875 del 1999) (Cass. 21 febbraio 2013, n. 4340).
Sulla stessa lunghezza d'onda s'è posta, nel mese di aprile del 2015, una sentenza (la n. 547) resa dal Tribunale di Teramo. I giudici abruzzesi si sono spinti oltre specificando altresì i quorum deliberativi all'uopo necessari.
Nel caso risolto dalla pronuncia depositata in cancelleria il 15 aprile 2015, un condomino aveva proposto impugnazione della delibera con la quale l'assemblea aveva deciso l'installazione di cancelli di chiusura dell'area cortilizia condominiale. Era convincimento dell'impugnante che quella deliberazione doveva essere considerata un'innovazione e come tale avrebbe dovuto essere deliberata.
Il Tribunale di Teramo ha rigettato questa doglianza considerando legittima la delibera assembleare. Secondo giudice adito, infatti, l'installazione del cancello non rappresenta un'innovazione ma una semplice regolamentazione dell'uso delle cose comuni, come tale adottabile in seconda convocazione con il voto favorevole di un terzo dei partecipanti al condominio che rappresentino almeno un terzo delle quote millesimali di proprietà (cfr. Trib. Teramo 15 aprile 2015 n. 547). La sentenza riguarda un caso sorto prima dell'entrata in vigore della riforma, sicché nel testo si fa riferimento alle previgenti maggioranze necessarie per deliberare in seconda convocazione, a oggi il giusto riferimento è il seguente: maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio (art. 1136, terzo comma, c.c.).
È proprio il riferimento a questi quorum deliberativi che lascia perplessi. Motivo: se l'assemblea deve deliberare l'adozione di un regolamento condominiale contenente norme disciplinanti l'uso delle cose comuni deve farlo con il voto favorevole della maggioranza dei presenti all'assemblea e almeno 500 millesimi. Come mai, quindi, la medesima deliberazione adottata al di fuori del contesto regolamentare può essere adottata con maggioranze inferiori?