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Per ottenere un intonaco a perfetta regola d'arte, disporre di un legante (grassello di calce aerea o idraulica naturale) di ottima qualità, e inoltre di sabbia di origine e granulometria ottimali è sicuramente molto importante, ma insufficiente se non si conoscono – e applicano - le corrette tecniche di lavorazione, le ricette tramandate dai trattatisti (collaudate e perfezionate da secoli di applicazione) e i giusti tempi di esecuzione.
Innanzitutto, che si tratti di una malta di allettamento o di un intonaco, i vari componenti della malta vanno miscelati secondo proporzioni precise:
le “ricette” tradizionali prevedono generalmente una parte di calce per ogni tre o quattro di inerte, anche se in casi particolari, come ad esempio la realizzazione di un intonachino molto sottile, si può adottare un rapporto di 1:1.
All'impasto era inoltre possibile aggiungere ulteriori sostanze dette additivi, che di solito servivano a conferire alla malta spiccate doti di idraulicità. Particolarmente esperti nella realizzazione di malte idrauliche furono gli antichi Romani, che introdussero su larga scala l'uso della pozzolana, costituita da lapilli vulcanici (la sostanza deve infatti il nome alla città campana di Pozzuoli), e del cocciopesto, derivato dalla frantumazione di laterizi o terrecotte: Vitruvio ad esempio consiglia l'uso di una malta costituita da una parte di calce, due parti di sabbia di fiume e una di cocciopesto.
Una malta del genere risulta particolarmente adatta all'impermeabilizzazione di vasche e fontane, o alla realizzazione di intonaci in zone molto umide, come ad esempio le città di mare.
Altri additivi che rendono idraulica una malta di calce aerea possono essere le scorie della lavorazione del ferro e l'argilla bianca (caolino).
Tuttavia, al giorno d'oggi l'uso degli intonaci pre-miscelati e delle calci idrauliche artificiali (ottenute dalla cottura, successivo spegnimento e macinazione finale di miscele di calcare e materie argillose) ha reso in gran parte obsoleti questi artifici, se non per interventi di manutenzione e restauro di edifici costruiti con tecniche tradizionali, in cui è necessario usare malte identiche (o comunque compatibili) con quelle originali.
Nella realizzazione di un intonaco a perfetta regola d'arte, le operazioni preliminari di preparazione del supporto sono fondamentali: la muratura dev'essere infatti dapprima pulita accuratamente (ad esempio con una spazzolatura manuale, con getti d'aria in pressione o anche mediante idro-pulitura), per evitare la presenza di polvere che potrebbe compromettere l'adesione dell'intonaco, e poi abbondantemente bagnata, per evitare che il supporto possa assorbire l'acqua contenuta nell'intonaco ancora fresco, compromettendone la carbonatazione. Si deve inoltre prestare attenzione alla superficie del muro, che deve essere scabra: questa scabrosità può essere aumentata artificialmente con una scalpellatura o altre tecniche di lavorazione.
I periodi migliori per tirare un intonaco sono la primavera avanzata e la fine dell'estate: temperature troppo basse possono infatti far gelare o ristagnare nella muratura l'acqua contenuta nella malta, mentre un calore eccessivo può al contrario causare un'evaporazione troppo veloce.
Mentre fa presa, un intonaco subisce precise trasformazioni fisiche (indurisce perdendo l'acqua dell'impasto e non può più essere lavorato), e soprattutto chimiche, che rendono il processo assolutamente irreversibile. La trasformazione fondamentale avviene in seguito alla carbonatazione, in cui la calce torna ad assumere le caratteristiche del materiale di partenza: l'intonaco diventa cioè quasi una roccia artificiale.
Perciò, con la carbonatazione, l'idrossido di calcio del legante si combina con l'anidride carbonica presente nell'atmosfera e si trasforma nuovamente in calcite secondo questa reazione chimica:
Ca(OH)2 + CO2 = CaCO3 + H2O.
Per evitare il problema del ritiro di volume dopo la carbonatazione, non si possono realizzare intonaci di spessore troppo elevato, perciò le “regole dell'arte” tradizionali prevedono l'esecuzione di più strati sovrapposti, di solito due o tre. Lo strato più profondo, a contatto con il supporto, è detto rinzaffo, e serve soprattutto a correggere le irregolarità della muratura. Seguono poi uno strato intermedio di spessore inferiore, l'arriccio, e infine la finitura superficiale (non presente però nei cosiddetti intonaci a civile), costituita dal sottile velo o intonachino (detto anche aseconda delle fonti tonachino o colletta), dello spessore di pochi millimetri. Le malte usate nei vari strati sono differenti: variano infatti sia la natura e granulometria dell'inerte, che negli strati inferiori è ovviamente più grossolana, sia la presenza di additivi o il rapporto tra legante e inerte, che nel velo in passato era spesso di 1:1. La lavorazione diventa inoltre più accurata man mano ci si avvicina alla superficie.
Per ottenere intonaci di spessori determinati si possono usare ad esempio dei testimoni, costituiti da regoli di legno o metallo (detti stagge) con dimensioni predefinite e fissati alla muratura, su cui far scorrere varie volte una tavola di legno per uniformare lo spessore dell'intonaco. Per lisciare la superficie si usa invece un frattazzo.
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