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Non è raro, anzi tenendo conto del numero dei contenziosi, è frequente che le persone litighino per i parcheggi.
Non parliamo solamente degli alterchi per i posti liberi sulla pubblica via ma anche delle zone di sosta di pertinenza delle abitazioni private.
Proprio in queste ultime circostanze emerge, sovente, l'affermazione di qualche condomino: Non mi si può negare di parcheggiare dopo tutti questi anni, io ho acquisito una servitù di parcheggio!
Quasi sempre tale diritto sarebbe acquisito per usucapione ma non manca chi la reclama sulla base di specifici accordi, magari intercorsi con precedenti proprietari.
È possibile acquisire una servitù di parcheggio?
Prima di rispondere vale la pena fornire alcune informazioni di carattere generale.
Ai sensi dell'art. 1027 c.c.:
La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario.
In questo contesto sono due gli elementi fondamentali:
a) l'altruità di un fondo rispetto ad un altro;
b) l'utilità specificamente riferita al fondo e non al suo proprietario.
Quest'ultimo elemento, anche e soprattutto in relazione alla servitù di parcheggio, merita particolare attenzione.
Secondo la Cassazione, che è intervenuta sulla materia il concetto di utilitas, intesa come elemento costitutivo di una servitù prediale, non può avere riferimento ad elementi soggettivi ed estrinseci relativi all'attività personale svolta dal proprietario del fondo dominante, ma va correttamente ricondotto al solo fondamento obiettivo e reale dell'utilità stessa, sia dal lato attivo che da quello passivo, dovendo essa costituire un vantaggio diretto del fondo dominante come mezzo per la migliore utilizzazione di questo.
(Nella specie, la S.C., enunciando il principio di diritto di cui in massima, ha confermato la sentenza del giudice di merito con la quale era stata esclusa la natura di servitù in relazione ad un passaggio sul fondo che si pretendeva servente esercitato da parte del proprietario del fondo finitimo al fine esclusivo di attingere acqua presso una fonte sita in altra località, di proprietà di terzi, e priva di qualsivoglia capacità irrigua o di destinazione all'approvvigionamento idrico del fondo predetto) (Cass. 22 ottobre 1997 n. 10370).
Detto più semplicemente: l'utilità dev'essere direttamente riferibile al fondo e non al suo proprietario.
Ai fini che ci occupano il contesto generale è sufficientemente chiaro.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, seguito dall'unanime dottrina, una persona può reclamare la proprietà dell'area sulla quale parcheggia, eventualmente agire per difendere tale asserito diritto ma non può mai invocare una servitù di parcheggio.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce il perché.
Si legge nel provvedimento degli ermellini che il parcheggio di autovetture su di un'area può costituire legittima manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo, ma non anche estrinsecazione di un potere di fatto riconducibile al contenuto di un diritto di servitù, diritto caratterizzato dalla cosiddetta realitas, intesa come inerenza al fondo dominante dell'utilità così come al fondo servente del peso, mentre la mera commoditas di parcheggiare l'auto per specifiche persone che accedano al fondo (anche numericamente limitate) non può in alcun modo integrare gli estremi della utilità inerente al fondo stesso, risolvendosi, viceversa, in un vantaggio affatto personale dei proprietari (Cass. n. 8137 del 2004).
Ed ancora, si è chiarito che il nostro sistema giuridico non prevede la facoltà, per i privati, di costituire servitù meramente personali (cosiddette servitù irregolari), intese come limitazioni del diritto di proprietà gravanti su di un fondo a vantaggio non del fondo finitimo, bensì del singolo proprietario di quest'ultimo, sì che siffatta convenzione negoziale, del tutto inidonea alla costituzione del diritto reale limitato di servitù, va inquadrata nell'ambito del diritto d'uso, ovvero nello schema del contratto di locazione o dei contratti affini, quali l'affitto o il comodato.
In entrambi i casi, il diritto trasferito, attesane la natura personale ed il carattere obbligatorio, non può ritenersi ipso facto trasmissibile, in assenza di una ulteriore, apposita convenzione stipulata dall'avente diritto con il nuovo proprietario del bene asservito.
(Nella specie, il giudice di merito aveva qualificato come costitutiva di una duplice servitù, di passaggio e di parcheggio, una convenzione tra privati con la quale il venditore di un appartamento aveva altresì concesso all'acquirente, in sede di stipula dell'atto pubblico di alienazione, il diritto d'uso di uno scantinato al fine di parcheggiarvi un'autovettura, nonché il diritto di passaggio sull'area che ne consentita l'accesso-, diritto non riconosciuto, in seguito, dagli eredi dello stesso venditore.
La S.C., nel cassare la pronuncia, ha sancito il principio di diritto di cui in massima) (Cass. n. 190 del 1999) (Cass. 13 settembre 2012, n. 15334).
Per rispondere alla domanda che ci si è posti in principio, è possibile affermare: non esiste una servitù di parcheggio in quanto il diritto di parcheggiare, che può comunque esistere sotto altre forme, difetta del requisito della realtà, ossia riguarda specificamente il proprietario della macchina e non una sua proprietà ed il fondo su cui si esercita.
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