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L'intonaco costituisce una delle finiture superficiali degli edifici più diffuse fin dall'antichità, sia per il suo basso costo (molto inferiore a quello ad esempio di un paramento di conci di pietra o laterizi, oppure di un rivestimento in lastre di pietra da taglio), sia soprattutto perché costituisce un ottimo sistema di protezione delle murature, facilmente sostituibile quando non più in grado di assolvere alla propria funzione perché ammalorato.
A partire da Vitruvio, i trattatisti di tutte le epoche hanno perciò dedicato particolare attenzione anche alla stesura di consigli per la realizzazione di intonaci.
Il legante più usato a partire dall'epoca romana per gli intonaci soprattutto da esterni è la calce, ricavata da rocce carbonatiche (cioè ricche di calcite) e di cui esistono due tipi diversi: aerea, in grado di fare presa solo in presenza di anidride carbonica (e quindi di aria) e idraulica naturale, capace di carbonatarsi anche in ambienti molto umidi o perfino sott'acqua, e quindi particolarmente indicata per la realizzazione di moli, argini, acquedotti, cisterne e fontane.
Molto adatti alla preparazione della calce sono i calcari puri, cioè con un alto contenuto di carbonato di calcio, anche se a volte si usarono anche i marmi, che, sebbene siano costituiti praticamente solo da calcite, risultano poco adatti per la loro struttura microcristallina. È inoltre possibile ricavare calce di discreta qualità anche dal travertino o dai calcari con impurità minerali, come ad esempio il rosso ammonitico (il cosiddetto marmo di Verona). Altri litotipi sfruttabili sono infine le dolomie o i calcari dolomitici, con un contenuto di magnesio inferiore. Da queste rocce si ricava però un tipo di calce di solito più scadente: la calce magra o magnesiaca; le calci grasse, considerate migliori, sono invece ottenute dai calcari puri. Le calci idrauliche naturali derivano infine dai calcari marnosi, cioè con un contenuto di minerali argillosi fino al 25%.
Una volta individuate e prelevate le rocce adatte, è necessario procedere alla loro calcinazione, consistente in una lunga cottura a circa 900°, svolta anticamente in piccoli forni caricati con carbone di legna e sorvegliati da operai specializzati, e attualmente negli stabilimenti industriali in forni studiati appositamente.
Inoltre, per non compromettere l'operazione il forno va caricato con molta cura e la temperatura di combustione va regolata continuamente e mantenuta costante.
Dalla calcinazione, attraverso le seguenti reazioni chimiche:
- CaCO3 + 900° = CaO + CO2 (calci grasse) ;
- CaMg(CO3)2 + 900° = CaO + MgO + CO2 (calci magre),
si ricava la calce viva, che si presenta in zolle friabili, untuose e generalmente biancastre. È un composto molto caustico, che per essere adoperato efficacemente dev'essere trasformato in calce idrata o idrossido di calcio (Ca(OH)2) attraverso il processo dello spegnimento.
Quest'operazione, fondamentale per disporre di un legante di buona qualità, permette di ottenere il grassello, un composto cremoso a base di calce spenta e acqua indispensabile per la preparazione di malte e intonaci. Lo spegnimento può avvenire in due modi: per immersione in apposite vasche, oppure per aspersione, cioè spruzzando le zolle di calce vive con getti d'acqua.
La reazione di spegnimento è piuttosto violenta e sviluppa molto calore, mentre il grassello appena preparato anticamente veniva lasciato stagionare per diversi mesi in apposite fosse o recipienti molto vicino al cantiere (il grassello era infatti difficilmente trasportabile e quindi veniva preparato sul posto), avendo cura di proteggerlo dal contatto con l'aria mediante acqua o strati di pelli: un grassello non ben stagionato può infatti contenere i calcinaroli, cioè grumi di calce non spenta che riducono la resistenza meccanica della malta (e quindi abbassano la qualità e la durata di un intonaco). Al giorno d'oggi, l'uso ormai generalizzato degli intonaci pre-miscelati e la vendita di grassello già pronto in sacchi impermeabili e sigillati ermeticamente hanno ormai reso superflue queste attenzioni.
A questo punto, il legante va miscelato con gli inerti per prevenire il fenomeno del ritiro, cioè la riduzione di volume che si verifica dopo l'indurimento, e tale da provocare le tipiche ragnatele di piccole cavillature visibili sugli intonaci realizzati non a regola d'arte.
L'inerte più comune è la sabbia, possibilmente di fiume o di lago: la sabbia marina è infatti inadatta, e se proprio è indispensabile utilizzarla bisogna lavarla accuratamente per eliminare ogni traccia di sali solubili, in grado di compromettere la resistenza della malta o di favorirne il degrado.
Un altro inerte piuttosto diffuso in passato era la roccia frantumata, usata quando non era possibile procurarsi una sabbia adatta o per ottenere risultati particolari, come ad esempio un intonaco colorato in pasta: questa prassi è tuttora diffusa soprattutto nei cantieri di restauro, quando è necessario confezionare malte identiche alle originarie per l'esecuzione di stuccature e risarcire le eventuali lacune, oppure disporre di malte colorate per la stuccatura di lesioni e difetti in murature o elementi di pietra.
Molto importanti sono anche la sua granulometria, che per quanto possibile dev'essere disomogenea (cioè con clasti di dimensioni diverse) e la resistenza meccanica dei litotipi di partenza: la sabbia migliore è infatti quella silicea.
Fra il legante e l'inerte sono possibili legami sia fisici che chimici: i primi sono costituiti dall'eventuale penetrazione del legante nei pori dell'inerte, mentre i secondi si stabiliscono in superficie tra i cristalli di calcite e i minerali degli inerti.
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