Innovazioni e modifiche delle cose comuni sono differenti e tale diversità incide e non poco sui quorum deliberativi di quegli interventi. Come distinguerle?
Affermare che una deliberazione assembleare ha stabilito delle modificazioni piuttosto che delle innovazioni di una parte comune (o viceversa) è cosa ben diversa.
La diversità fisica dei due interventi si riflette sulle maggioranze necessarie a deliberare gli interventi voluti.
In poche parole:
a) se si tratta di modificazione i quorum deliberativi sono quelli normalmente previsti per le deliberazioni in prima e seconda convocazione, eccezion fatta per quelli fissi necessari per lavori di manutenzione di notevole entità;
b) se si tratta di innovazioni le maggioranze necessarie sono quelle previste dal quinto comma dell'art. 1136 c.c. strettamente collegato alle innovazioni disciplinate dall'art. 1120 c.c.
Il problema in questi casi sta proprio nella identificazione delle nozioni di modificazione ed innovazione delle cose comuni.
La legge non fornisce questa definizione, ergo: è indispensabile osservare che cos'ha detto la giurisprudenza.
Il Tribunale di Savona con una sentenza resa lo scorso 17 aprile, sulla scorta dei concetti elaborati dalla Cassazione, è tornato sull'argomento.
Nella pronuncia appena citata si legge che:
in tema di condominio negli edifici, la distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all'entità e qualità dell'incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune, nel senso che per innovazione in senso tecnico - giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto (la S.C. ha così escluso che costituisse innovazione vietata il restringimento di un viale di accesso pedonale, considerato che esso non integrava una sostanziale alterazione della destinazione e della funzionalità della cosa comune, non la rendeva inservibile o scarsamente utilizzabile per uno o più condomini, ma si limitava a ridurre in misura modesta la sua funzione di supporto al transito pedonale, restando immutata la destinazione originaria).
E ancora, dice il giudice ligure, nella sentenza di Cassazione n. 15460 del2002 si afferma che:
"in tema di condominio negli edifici, per innovazione in senso tecnico - giuridico, vietata ai sensi dell'art.1120 cod. civ., deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirino a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lascino immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto (la S.C. ha così escluso che costituisse innovazione vietata l'ampliamento dell'autorimessa condominiale mediante trasformazione dei locali adibiti a portineria ed a centrale termica, i cui servizi era stati soppressi con regolari delibere condominiali precedenti)" (Trib. Savona 17 aprile 2013).
L'innovazione, dunque, deve modificare non solo lo stato dei luoghi ma anche la destinazione, alterando gli equilibri nell'uso.