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Nel restauro architettonico non è possibile codificare regole fisse e valide per ogni intervento, perché ciascun edificio ha delle caratteristiche uniche e irripetibili.
È comunque possibile delineare alcune strategie di intervento che, con i dovuti adattamenti, risultano quasi sempre valide.
Il restauro di un intonaco segue generalmente questa sequenza:
a) Indagini diagnostiche;
b) Prove di laboratorio sugli eventuali campioni prelevati;
c) Pre-consolidamento delle parti distaccate e/o gravemente danneggiate;
d) Pulitura;
e) Consolidamento;
f) Trattamento delle lacune;
g) Protezione.
Data la rilevanza e vastità dell'argomento, in questa sede mi occuperò solamente delle indagini diagnostiche preliminari, rimandando a futuri articoli l'approfondimento delle tecniche di pulitura, consolidamento, trattamento delle lacune e protezione.
Questa fase è estremamente delicata, perché dati errati o incompleti possono compromettere l'efficacia dell'intervento o addirittura peggiorare la situazione.
È quindi consigliabile – se l'importanza dell'intervento lo richiede - prevedere un'attenta campagna di sopralluoghi e indagini visive e strumentali.
I migliori strumenti del restauratore sono infatti gli occhi e la propria esperienza: con sopralluoghi ravvicinati e semplicemente osservando e toccando le superfici si possono ad esempio individuare le tracce di decorazioni o particolari lavorazioni e inoltre catalogare numerose forme di degrado.
Le indagini visive risultano facilitate da un'illuminazione particolare come ad esempio la luce radente, che evidenzia perfettamente qualsiasi discontinuità della superficie, oppure lampade a raggi ultravioletti, che permettono di individuare particolari sostanze.
Invece per riconoscere le parti di intonaco distaccato il sistema migliore consiste nel percuotere delicatamente la superficie a intervalli regolari con le nocche delle dita:
il suono prodotto e l'esperienza dell'operatore permettono di delimitare con precisione le aree distaccate, che poi vanno segnate direttamente sull'intonaco con un gessetto.
Alcuni tipi di indagini strumentali, definite non distruttive perché non danneggiano fisicamente l'oggetto da analizzare, consentono di penetrare sotto la superficie visibile, ma sono molto costose, e risultano praticabili solo negli interventi su edifici di pregio.
Un'indagine molto utile è l'endoscopia, che facendo penetrare una piccola telecamera a fibre ottiche all'interno di fori e lesioni già esistenti, permette di conoscere ad esempio la composizione del paramento murario o di esplorare piccole intercapedini altrimenti inaccessibili.
Con la termografia è invece possibile individuare lesioni, cavità o discontinuità della muratura non visibili a occhio nudo, i vani di porte e finestre tamponati e successivamente intonacati, o infine eventuali tiranti metallici nascosti nel paramento murario.
Il sistema si basa infatti sulla misurazione del calore emanato dai corpi, e i dati vengono schematizzati in un'immagine in falsi colori: perciò, dopo avere scaldato adeguatamente la superficie (o analizzandola di notte dopo una prolungata esposizione al sole) si ottiene la mappa termica dell'intero fronte, perché ogni materiale assorbe e rilascia il calore in misura diversa, rendendo perfettamente riconoscibili anche particolari invisibili a occhio nudo.
Al contrario le indagini distruttive danneggiano l'oggetto da analizzare, e quindi andrebbero usate con parsimonia, sebbene siano spesso indispensabili.
Un tipo di indagine distruttiva particolarmente importante sono i saggi stratigrafici, fondamentali per scoprire ed esaminare direttamente piccole porzioni delle stratificazioni più antiche.
La loro esecuzione è abbastanza semplice, ma è consigliabile affidarla a un restauratore esperto: si tratta infatti di delimitare una superficie quadrata o rettangolare di dimensioni non troppo estese (ad esempio 50 centimetri di lato), che va ulteriormente divisa in settori più piccoli numerati. Il settore numero 1 si lascia tal quale, mentre a partire dal numero 2 si procede con un bisturi alla progressiva asportazione di uno strato per volta (uno per ogni settore) fino a scoprire la muratura.
È necessario prevedere i saggi stratigrafici ogni volta in cui si sospetti o sia apertamente visibile la presenza di più stratificazioni sovrapposte di intonaci o tinteggiature, mentre il loro numero e posizione dipendono dal tipo e datazione della decorazione di cui si sospetta l'esistenza, e soprattutto dalla superficie da analizzare: ad esempio, in una facciata sarà opportuno prevedere dei saggi stratigrafici nelle zone dei cantonali, vicino agli stipiti delle finestre, al livello dei solai o dei davanzali delle finestre, nelle finestre tamponate, tra due finestre e infine nel sottogronda.
Queste zone sono le più indicate anche per il prelievo di campioni di intonaco, che vanno accuratamente catalogati e mappati. Il prelievo di campioni, estremamente utile per l'alto numero di informazioni che è possibile ottenere analizzandoli, se possibile andrebbe eseguito in qualsiasi intervento di manutenzione o restauro di un intonaco di pregio.
Dai campioni prelevati è anzitutto possibile capire l'esatta composizione fisica e chimica di un intonaco, in modo da produrre malte dello stesso tipo da usare nelle stuccature, nelle integrazioni delle lacune e nel ripristino delle parti mancanti.
È inoltre possibile analizzare accuratamente le finiture superficiali eventualmente presenti, studiare l'esatta successione degli strati e capire con precisione la composizione chimica di ciascuno di essi.
A partire dalla composizione chimica di una certa finitura è quindi possibile dedurre con sicurezza l'esistenza di antichi trattamenti superficiali (ad esempio olii o cere), la composizione dei colori e la tecnica di esecuzione di un dipinto murale (infatti l'esistenza di sostanze organiche suggerisce generalmente una realizzazione a tempera).
Una delle prove più utili è l'osservazione di sezioni stratigrafiche, cioè di piccoli campioni di intonaco inglobati in uno strato di resina perfettamente trasparente: grazie a un microscopio ottico si possono quindi compiere osservazioni sulla malta, l'aspetto dei clasti, il rapporto fra la quantità di legante e di aggregato, e infine il numero, la colorazione e lo spessore dei vari strati.
Per stabilire inoltre gli elementi di cui sono composti legante e aggregato o eventuali finiture superficiali si possono compiere una serie di analisi chimiche mirate (ad esempio sciogliendo completamente il legante per studiare meglio gli aggregati), che di solito comportano la distruzione del campione, oppure di osservazioni strumentali che permettono di recuperarlo per analisi successive.
A questo secondo tipo di indagini – da svolgere presso laboratori specializzati - appartiene ad esempio l'uso di un microscopio elettronico a scansione (SEM) corredato da una microsonda elettronica (EDS), con cui si ottengono immagini e/o macrofotografie estremamente ingrandite (fino a 200.000 volte) del campione da analizzare, mentre con la microsonda si possono compiere analisi chimiche qualitative e/o quantitative sfruttando i raggi X emessi per fluorescenza dal campione.
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