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Con l'art. 3 del D.Lgs. 23 del 2011 il governo Berlusconi introdusse la cosiddetta cedolare secca.
I commi 8 e 9 di quell'articolo contenevano norme volte a far emergere i contratti di locazione in nero prospettando una regolamentazione delle condizioni economiche di favore, purchè avvenisse la regolarizzazione del contratto mediante la registrazione.
Ciò al fine di far emergere il nero e di riportare i contratti nell'alveo della legge.
Le norme (co.8) prevedevano che ai contratti di locazione a uso abitativo non registrati si sarebbe applicata una durata di quattro anni a far data dalla registrazione e le norme sul rinnovo applicate ai contratti registrati e previste dall'art. 2, co. 1 della legge sulle locazioni n. 431/1998.
Inoltre, sempre alla condizione che si effettuasse, sebbene in ritardo, la registrazione del contratto, si prevedevano delle condizioni economiche particolarmente favorevoli per gli affittuari e cioè: c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti.
Le norme (co.9) prevedevano poi che le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 - che dispongono la nullità dei contratti che ricorrendone i presupposti non sono registrati – e le disposizioni di cui al comma 8 suindicato si applicavano anche nei casi in cui i contratti fossero stati registrati ma con l'indicazione di un importo inferiore a quello reale, oppure nei casi di registrazione di comodati fittizi.
Le norme di cui ai detti commi sono state poi dichiarate incostituzionali con la sentenza n. 50 della Corte Costituzionale depositata il 14 marzo 2014.
Il motivo della pronuncia di incostituzionalità era l'eccesso di delega e dunque la violazione dell'art. 76 Cost., per il quale L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato [cfr. art. 72 c. 4] al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.
In primis la Corte ricorda che la verifica circa il difetto di delega comporta due operazioni ermeneutiche: la prima riguarda l'oggetto, i principi e i criteri direttivi della legge delega, la seconda riguarda le disposizioni del testo normativo delegato da interpretarsi nel significato compatibile con i princípi e i criteri direttivi della delega.
Il difetto di delega in questo caso viene rilevato sia sotto l'aspetto dell'oggetto che sotto l'aspetto degli obiettivi perseguiti.
La Corte rileva infatti che con la legge n. 42 del 2009 ...- come emblematicamente enunciato dalla disposizione programmatica di cui all'art. 1, comma 1 -, il Parlamento ha inteso introdurre disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i princípi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, a disciplinare l'istituzione ed il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante nonché l'utilizzazione delle risorse aggiuntive e l'effettuazione degli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione perseguendo lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva del superamento del dualismo economico del Paese.
Accanto a ciò, l'obiettivo dichiarato è quello di disciplinare i princípi generali per l'attribuzione di un proprio patrimonio a comuni, province, città metropolitane e regioni, dettando norme transitorie sull'ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale.
Del tutto coerenti appaiono, quindi, - prosegue la sentenza - oggetto e finalità della delega definiti dall'art. 2 della legge, ove si precisa, appunto, che l'esercizio della funzione legislativa è conferito al fine di assicurare, attraverso la definizione dei princípi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione, l'autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni nonché al fine di armonizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio dei medesimi enti e i relativi termini di presentazione e approvazione, in funzione delle esigenze di programmazione, gestione e rendicontazione della finanza pubblica.
Si tratta, dunque, di un àmbito normativo rispetto al quale il tema di cui alla disciplina denunciata risulta del tutto estraneo, essendo questa destinata ad introdurre una determinazione legale di elementi essenziali del contratto di locazione ad uso abitativo (canone e durata), in ipotesi di ritardata registrazione dei contratti o di simulazione oggettiva dei contratti medesimi, pur previste ed espressamente sanzionate nella disciplina tributaria di settore.
Il dichiarato fine di combattere l'evasione fiscale era appunto un fine e non un criterio; né - si prosegue nella sentenza - il riferimento alle forme premiali delle norme imputate può ritenersi in alcun modo correlabile con il singolare meccanismo sanzionatorio oggetto di censura.
Peraltro, si rileva che la norma delegante fa espresso richiamo al rispetto dei princípi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212, il quale stabilisce, tra l'altro, che Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto (art. 3, co.10, ult. per.): conseguentemente, non può farsi derivare dal mancato rispetto del termine per la registrazione di un contratto di locazione addirittura una novazione... quanto a canone e a durata.
Inoltre, la sentenza rileva che la norma non rispetta gli obblighi di informazione del contribuente, sempre prescritti dallo Statuto del contribuente, dal momento che la denunciata sostituzione contrattuale opera in via automatica, solo a seguito della mancata tempestiva registrazione del contratto.
Questi i motivi della pronuncia di incostituzionalità che tralasciava tutti gli altri in quanto assorbiti dal motivo del difetto di delega.
La legge n. 80 del 23 maggio 2014, nel convertire il Decreto Legge n. 67 del 28 marzo 2014, noto anche come decreto piano casa, all'art.5 ha aggiunto il comma 1-ter che così recita: Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell'art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.
Contro detta norma è stata sollevata davanti alla Corte Costituzionale questione di legittimità costituzionale da parte di due giudici del Tribunale di Napoli, con due distinte ordinanze emesse nel corso di procedimenti di sfratto all'interno dei quali il conduttore eccepiva l'applicazione dell'art. 3, co. 8, D.Lgs. 23/2011, per via della registrazione tardiva del contratto.
I giudici del Tribunale ordinario hanno sollevato la questione di legittimità sulla base del fatto che le norme richiamate dai conduttori sono state dichiarate illegittime e ciò nonostante rimesse in vita con il decreto casa, con la precipua finalità di garantire una sorta di ultrattività delle suddette disposizioni legislative, ancorché dichiarate incostituzionali, dalla relativa data di entrata in vigore sino al termine finale del 31 dicembre 2015.
Con la sentenza n. 169 depositata il 16 luglio 2015 la Corte ha ritenuto fondata la questione e pertanto ha accolto il ricorso ravvisando nell'art. 5, co.1-ter del predetto decreto una violazione dell'art. 136 cost. Come evidenzia la Corte nella decisione, nei lavori preparatori del testo normativo viene dichiarato che la finalità della norma non era quella di aggirare la sentenza di illegittimità, ma era quella di fare sì che coloro che ne hanno beneficiato oggi non possono subire le conseguenze di aver applicato la legge e garantisce loro un tempo congruo per non dover sopportare un aggravio ingiusto delle proprie condizioni di vita.
Ma, la Corte evidenzia come per un consolidato orientamento l'art. 136 (che recita: Quando la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione) va applicato con rigore: la sua fondamentale importanza sta nel fatto che esso consente di interrompere immediatamente l'efficacia di una norma incostituzionale.
E tale norma sarebbe violata non solo da un provvedimento che ridesse efficacia alla norma incostituzionale, ma da ogni altro che comunque tentasse di regolare delle fattispecie (sorte prima del provvedimento stesso) in maniera da ottenere lo stesso risultato; e con ciò viene richiamata la sentenza n. 88 del 1966.
Insomma, una sentenza caducatoria di una norma, quale che sia il parametro costituzionale di riferimento, cioè anche il formale eccesso di delega, non può essere bypassata.
Il Legislatore può bensì emanare nuove norme con il medesimo contenuto, ma questo è un conto; un altro conto è emanare atti che direttamente o indirettamente mantengano in vita proprio la norma dichiarata incostituzionale.
L'effetto pratico di tutto ciò è che che le norme di cui ai commi 7 e 8 dell'art. 3 del D.Lgs. 23 del 2011 sono state cancellate dal nostro ordinamento in quanto contrarie alla nostra norma suprema, la Costituzione (e ciò sin dalla sentenza n. 50 del 2014).
Secondo la successiva sentenza n. 169 del 2015 una qualsivoglia forma di proroga (come quella di cui all'art.5, co.1-ter del D.L. 67 del 2014) in sostanza aggira la dichiarazione di incostituzionalità e tenta di rimettere in vita una norma già in precedenza eliminata: per questo motivo è stata sua volta dichiarata incostituzionale.
Ne deriva che non possono essere fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell'art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.
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