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I tiranti e le catene con capochiave sono uno dei metodi di consolidamento più antichi e diffusi negli edifici storici grazie alla loro relativa semplicità di posa, alla versatilità, al basso costo, alla facilità di sostituzione in caso di rottura e all'indubbia efficacia comprovata da secoli di dissesti, terremoti e miglioramenti costanti.
Il loro scopi sono essenzialmente quattro:
Sono invece inefficaci per contrastare il cedimento delle fondazioni e i dissesti conseguenti (lesioni a taglio diagonale).
Tutti i modelli di catene storiche presentano grosso modo le medesime caratteristiche fondamentali, con alcune varianti dovute al materiale utilizzato o alle usanze costruttive locali. Ciascuna di esse è formata da due parti: la catena vera e propria e un ancoraggio esterno chiamato capochiave.
Le catene antiche sono quasi sempre in ferro battuto a sezione quadrata, mentre quelle più recenti di fattura industriale hanno viceversa una sezione circolare. Gli elementi particolarmente lunghi sono formati da due o più pezzi giuntati con perni e/o reggette metalliche, come si nota ad esempio nel complesso sistema di catene settecentesche della Chiesa Madre di Rende in provincia di Cosenza.
Il capochiave esterno è invece formato da un semplice paletto inserito in un occhiello praticato a ciascuna estremità della catena. La messa in tiro della catena avveniva con la tecnica a caldo, che prevedeva il riscaldamento di una o entrambe le sue estremità con torce o bracieri in modo da dilatarle, il successivo inserimento del capochiave a diretto contatto con la muratura e infine il suo serraggio con un secondo paletto o cavicchio di metallo: una volta raffreddata la catena tende ad accorciarsi entrando in trazione.
Talvolta il capochiave può subire alcune piccole modifiche: in Calabria sono ad esempio visibili alcuni capochiave doppi, che cioè bloccano contemporaneamente due catene, mentre in Liguria il paletto presenta una protuberanza a circa un terzo dell'altezza che sostituisce il consueto cavicchio di serraggio. Nell'edilizia ottocentesca si usavano infine capichiave molto decorativi, con il paletto sagomato ad esempio a forma di drago o serpente.
Esistono però anche capichiave in pietra o legno: i primi, detti fiube, sono tipici dell'architettura veneziana e consistono di blocchi in pietra d'Istria a cui vengono ancorate le estremità delle catene sagomate a L; i secondi sono invece visibili negli edifici più poveri (generalmente rurali) delle zone più marginali.
Si tratta di semplici cavicchi in legno che venivano inseriti in un foro appositamente praticato nella trave maestra di un solaio o nella catena di una capriata che, prolungate oltre il filo esterno della muratura, diventavano tiranti efficacissimi.
Troviamo le catene in due posizioni canoniche:
I capichiave di questo secondo tipo si riconoscono facilmente per la loro tendenza a formare sequenze orizzontali alla stessa quota. In questo caso la catena era molto corta, lunga come lo spessore della muratura o poco più, e tendeva a dividersi in due piattine di ferro che venivano chiodate a ciascun lato della trave.
Per massimizzarne l'efficacia, il capochiave veniva inoltre posto quasi sempre con un angolo di 45° per occupare una porzione maggiore della muratura: una disposizione verticale, esteticamente più gradevole e comunque attestata in molti esempi, risulta infatti meno affidabile.
Le catene sono infine tipiche dei piani superiori, perché il ribaltamento dei piani bassi (primo e terreno) veniva generalmente impedito da contrafforti o speroni a scarpa: è perciò molto comune trovare entrambi questi metodi di consolidamento nella medesima facciata.
I tiranti sono tuttora uno dei metodi più diffusi per il consolidamento e miglioramento sismico degli edifici storici, sia come intervento per risolvere un dissesto localizzato come un arco o una volta non adeguatamente contrastati, sia come presidio generalizzato a tutti i piani.
In questo caso le catene vengono abbinate quasi sempre a un cordolo sommitale in profilati di acciaio o muratura armata.
Si tratta di un sistema poco costoso e invasivo, reversibile, facilmente ispezionabile o sostituibile in caso di necessità, di afficacia assolutamente comprovata e rispettoso dei principi del restauro (compatibilità, reversibilità, minimo intervento e riconoscibilità).
Le catene moderne sono concettualmente identiche a quelle tradizionali ma con alcune importanti innovazioni derivanti dall'uso di materiali più resistenti o sistemi di lavorazione di tipo industriale.
Il materiali più diffusi sono l'acciaio inox o l'acciaio strutturale S275JR, mentre la messa in tensione avviene a freddo con tenditori regolabili lasciati in vista: la catena viene infatti divisa in due segmenti a sezione circolare con le estremità filettate che vengono inserite in un dispositivo a vite, regolando la tensione secondo i parametri di progetto calcolati dallo strutturista con una chiave dinamometrica. In questo modo, se la catena dovesse allentarsi per qualche motivo, è possibile regolarne facilmente la tensione.
I capichiave, commercializzati da aziende specializzate come Contigiani&Giacomini s.r.l. o Palibloc appartengono a tre tipologie principali:
I capichiave a piastra hanno una superficie maggiore e perciò ripartiscono le sollecitazioni su una porzione più ampia della muratura ma presentano il grave svantaggio di un impatto estetico più rilevante; mentre i capichiave a paletto, più simili ai modelli tradizionali, passano inosservati più facilmente.
Un buon compromesso tra le due istanze (estetica e ripartizione ottimale degli sforzi alla muratura) sono i capichiave a paletto con le estemità a Y.
Esistono inoltre capichiave decorativi con le estremità sagomate a S o a spirale che, seppure belli esteticamente, risultano sconsigliabili perché durante un terremoto potrebbero trasmettere alla muratura pericolose sollecitazioni localizzate a momento torcente.
Andrebbero evitati infine anche i capichiave a piastra da incassare in appositi incavi praticati nella muratura, perché, riducendone lo spessore resistente, la indeboliscono creando pericolose soluzioni di continuità che in caso di terremoto tendono a fungere da punti di innesco per le lesioni a taglio diagonale dal tipico andamento a X.
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