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La morte di una persona fisica (de cuius) comporta l'apertura della successione, testamentaria e/o legittima, ovverosia, della complessa procedura con la quale idiritti e obbligazioni del defunto, purché non strettamente personali, si estinguono e si trasmettono, invece, agli eredi.
Come noto, l'evento della morte rileva anche ai fini fiscali.
Diversi sono gli adempimenti che gli eredi sono tenuti a ottemperare nei confronti del Fisco.
In primis, occorre procedere con la dichiarazione di successione.
Si tratta essenzialmente di una comunicazione che deve essere presentata, entro 12 mesi dalla data di apertura della successione, dagli eredi, dai chiamati all'eredità e dai legatari all'Amministrazione finanziaria e riguarda tutti i beni in successione.
Tale dichiarazione di successione rileva anche in sede di determinazione del carico fiscale che deve essere sostenuto dagli eredi e legatari e, in particolare, dell'ammontare complessivo dell'imposta di successione e degli oneri complessivi.
Uno dei temi più dibattuti in giurisprudenza, in ordine all'applicabilità e al calcolo dell'imposta sulla successione, riguarda l'eventuale rilevanza dei beni e delle consistenze donate in vita, ai fini successori e in particolare ai fini della determinazione della relativa imposta.
In altri più specifici termini, in più occasioni la giurisprudenza si è dovuta esprimere sulla valenza delle donazioni in vita, rispetto all'onere dell'imposta di successione, trovando spesso parere opposto da parte dell'Agenzia delle Entrate.
Nel momento in cui si procede in vita a una donazione o in sede di successione, si apre il problema di determinare il coacervo di beni, sul quale calcolare le imposte, ai sensi dell'art. 8, quarto comma del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (c.d. TUS).
Preliminarmente, occorre rilevare come per coacervo si intenda sostanzialmente la somma dei beni ricevuti da un determinato soggetto per donazione o per successione.
Il citato articolo, è stato implicitamente abrogato e sostituito da un diverso meccanismo di tassazione, fondato su aliquote proporzionali da applicarsi ai valori eccedenti le franchigie di legge.
Come noto, infatti, sia l'imposta sulle donazioni sia quella sulla successione sono determinate sulla base di aliquote e franchigie diverse a seconda del grado di parentela che unisce il donante al donatario.
Il coacervo rileva in sede di computo della franchigia donazione, ovvero, l'importo al di sotto del quale non vi è alcuna pretesa da parte del Fisco.
L'Agenzia delle Entrate, in più occasioni, ha fornito una propria interpretazione del coacervo, per determinare il valore della franchigia.
Secondo l'Agenzia, l'insieme dei beni donati in vita dal de cuius, deve essere computato nel coacervo al momento dell'apertura della successione, con la conseguenza che deve essere valutato in sede di determinazione della franchigia successione.
In altri più specifici termini, secondo l'Agenzia, il complesso dei beni donati in vita può essere considerato al momento dell'apertura della successione e determinare l'erosione della franchigia e conseguentemente il pagamento di una maggiore imposta.
Di recente, sulla questione relativa alla valenza dei beni donati in vita rispetto all'apertura della successione, si è ancora una volta espressa anche la giurisprudenza di merito e, nello specifico, la Commissione tributaria regionale del Piemonte, con la sentenza n. 594/3/2021.
Il caso sottoposto all'attenzione giudici tributari, riguardava l'omessa indicazione, nella dichiarazione di successione del de cuius, del valore delle donazioni che questi aveva disposto a favore dei figli nel luglio dell'anno 2006.
In altri più specifici termini, gli eredi ricorrenti, non avendo inserito nella dichiarazione di successione talune consistenze donate in vita dal de cuius, non le avevano considerate nel calcolo dell'imposta sulla successione alla morte di questi.
Di diverso avviso era l'Agenzia che, in giudizio, aveva sostenuto come in sede di liquidazione dell'imposta di successione, le donazioni effettuate in vita dal donante, poi de cuius, dovessero essere considerate ai fini dello scomputo dalla franchigia successione.
La Commissione, nel ribadire un l'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, (Cass., n. 12779/2018; Cass., nn. 32818, 32819, 32830 del 2018, Cass., 758/2019) ha confermato come il c.d. coacervo, ovverosia l'insieme dei beni ottenuti in donazione di cui all'art. 8 comma 4 del TUS, non rileva ai fini dell'imposta sulle successione.
A tale conclusione, la Commissione giunge rilevando l'avvenuta abrogazione dell'istituto del coacervo con riferimento all'imposta sulle successioni, in forza del D.l. n. 262/2006.
Ciò significa, secondo la Commissione, che il valore delle liberalità e delle donazioni disposte in vita dal de cuius in favore dei discendenti non assume alcun rilievo in sede di determinazione dell'imposta di successione.
Nel consegue che l'imposta sulle successione e l'imposta sulle donazione sono tributi da considerarsi autonomi e distinti e, pertanto, soggetti, in particolare, in sede di determinazione e calcolo, a diverse normative non necessariamente fra loro collegate (Cass., nn. 10255 e 22738 del 2020).
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