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I rapporti di vicinato, quando sono astiosi, portano nelle aule di tribunale le controversie più disparate.
Certo, talvolta, anche l'astio può essere utile all'interesse pubblico perché può contribuire a un maggiore rispetto delle norme da parte dei consociati.
Così, ad esempio, può succedere che il vicino di casa presenti un esposto al Comune per una costruzione senza autorizzazione di una piscina, di un pergolato e altri locali e poi, una volta che i vicini hanno ottenuto il permesso di costruire in sanatoria, si rivolga anche al tribunale amministrativo per chiederne l'annullamento, tra gli altri motivi, anche per mancato rispetto delle distanze legali.
È il caso che ha portato alla sentenza del Tar di Napoli n. 3520 depositata il 2 luglio scorso.
Come noto, infatti, le costruzioni devono rispettare determinate distanze fissate dalla legge e dai regolamenti locali. La questione giuridica odierna è se le norme vanno applicate anche al caso delle piscine.
Per rispondere alla domanda partiamo dal dato normativo: la norma principale di riferimento è contenuta nell'art. 873 c.c., secondo cui tra le costruzioni su terreni confinanti, se non sono unite o aderenti, deve esserci una distanza non minore di tre metri.
Il limite di tre metri può essere aumentato dai regolamenti locali (ma, evidentemente, non ridotto).
Il fulcro della questione si fonda, quindi, sul concetto di costruzioni.
Per costruzioni dobbiamo intendere, per quanto ci riguarda, qualsiasi opera non completamente interrata che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo.
La giurisprudenza si esprime spessissimo con tali termini; per esempio, con le sentenze della Corte di Cassazione nn. 22127/2007 e 20574/2007 e di recente, n. 9679/2014.
Infatti, gli edifici interrati sono esclusi dall'ambito del concetto di costruzioni come intese dall'art. 873 c.c.; anche in tal senso la giurisprudenza è vasta; si menzionano solo la sentenza n. 5450 del 1998 con cui la Corte di Cassazione esclude dalle norme sulle distanze una costruzione posta al di sotto del piano di campagna e la sentenza della Corte di Cassazione n. 5956 del 1996 con cui viene escluso dall'applicazione della norma un campo da tennis.
Per quanto ci riguarda, bisogna evidenziare che una costruzione, affinché sia rilevante ai sensi dell'art. 873 c.c., e dunque soggetta alle norme sulle distanze ivi cntenute, non può essere completamente interrata.
Infatti, come è statto detto, i piani interrati devono ritenersi esonerati dal rispetto delle distanze legali (Tar Puglia, Lecce n. 3200/2014).
Con tale premessa, allora, le piscine corrispondono a tale definizione?
Avendo presente il concetto generale, già più volte affermato in giurisprudenza, evidentemente no!
Ma vediamo in che limiti.
Già il Tar di Milano, con la sentenza n. 428 del 1988, richiamata dalla sentenza del Tar Napoli n. 3520, aveva in passato escluso l'applicazione delle distanze legali alle piscine interrate.
Il Tar Napoli decide rifacendosi alla pregressa giurisprudenza e dunque così spiega:
In ogni caso, poi, entrambe le opere (piscina e annessi vani tecnici) non risultano rilevanti ai fini della violazione delle distanze legali trattandosi di opere interrate o che comunque non si innalzano oltre il livello del terreno, con conseguente inconfigurabilità di un corpo edilizio idoneo a creare dannose intercapedini e a pregiudicare la salubrità dell'ambiente collocato tra gli edifici.
Si specifica poi il motivo per cui è previsto l'obbligo del rispetto delle distanze e, conseguentemente, il motivo per cui esso non si applica al caso di specie:
essendo la normativa dettata in materia di distanze legali diretta ad evitare la formazione di strette e dannose intercapedini per evidenti ragioni di igiene, areazione e luminosità, ne deriva che la suddetta normativa è inapplicabile relativamente ad un manufatto completamente interrato quale una piscina (T.A.R. Lombardia, Milano, 20 dicembre 1988 n. 428), in quanto i piani interrati devono ritenersi esonerati dal rispetto delle distanze legali (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III 30 dicembre 2014 n. 3200).
Anche la ratio della legge e cioè il fatto che tale obbligo esiste al fine di evitare la formazione di strette e dannose intercapedini in realtà è stata spesso ribadita negli stessi termini dalla giurisprudenza; tra tante decisioni si menzionano quelle della Corte di Cassazione n. 4639 del 2007 e del Tribunale di Modena n. 638 del 10 aprile 2014.O anche della Corte di Cassazione n. 5956 del 1996, con cui viene eslcuso dall'obbligo delle distanze un campo da tennis, in quanto costruito sul piano di campagna, ma anche i plinti interrati di sostegno dei pali di illuminazione del campo, in quanto, non erette sopra il suolo e ritenuti opere assolutamente inidonee a creare intercapedini, e, ancora, il cordolo cementizio posto a delimitare lo stesso campo da tennis, la rete metallica di protezione del campo stesso e i pali posti a sostegno delle cellule fotoelettriche di illuminazione, per l'oggettiva idoneità a determinare intercapedini che siano fonti di danno o di pericolo e al solo scopo di accertare se a quell'opera possa attribuirsi la natura di costruzione, nel senso e ai fini dell'art. 873 c.c..
Con la sentenza n. 3520 del Tar Napoli viene dunque chiaramente spiegata la ratio delle norme sulle distanze di cui all'art. 873 c.c. e, dunque, anche l'esclusione delle stesse per il caso delle piscine (interrate).
Attenzione però: è ben tenere presente che tutto il ragionamento si basa sul presupposto dell'interramento; dunque, una piscina non interrata deve rispettare le distanze legali.
Non manca sulla questione una decisione della suprema Corte, la n. 13389 del 2011, con la quale è stato appunto deciso, in un caso di rialzo del terreno in cui era stata poi interrata una piscina, che si trattasse di vera e propria costruzione ai sensi dell'art. 873 c.c. ribadendo che, secondo la consolidata giurisprudenza di Legittimità:
la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell'opera.
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