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Ai sensi dell'art. 889 c.c., rubricato Distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi:
Chi vuole aprire pozzi, cisterne, fosse di latrina o di concime presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, deve osservare la distanza di almeno due metri tra il confine e il punto più vicino del perimetro interno delle opere predette.
Per i tubi d'acqua pura o lurida, per quelli di gas e simili e loro diramazioni deve osservarsi la distanza di almeno un metro dal confine.
Sono salve in ogni caso le disposizioni dei regolamenti locali.
Soffermiamoci sulle distanze dei tubi dal confine.
Si supponga che Tizio chieda l'allaccio alla rete di distribuzione del gas per la sua abitazione di recente costruzione.
Il secondo comma dell'articolo appena citato non lascia adito a dubbi: le tubazioni del gas devono essere poste ad almeno un metro dal confine.
In sostanza, per chiarire la portata della norma con un esempio, Tizio non potrà far passare i tubi sul muro di confine che separa la sua proprietà da quella di Caio, il suo vicino.
Ciò posto è utile domandarsi: qual è la ratio della norma?
Detto diversamente: perché il legislatore ha previsto una distanza minima per l'installazione delle tubazioni?
La Cassazione, in più occasioni, ha avuto modo di chiarire che la distanza di almeno un metro dal confine è prescritta dall'art. 889 c.c., comma 2, per l'installazione dei tubi dell'acqua, del gas e simili, giacchè per tali condutture, aventi un flusso costante di sostanze liquide o gassose, il legislatore ha tenuto conto della loro potenziale attitudine ad arrecare danno alla proprietà contigua, stabilendo, con valutazione ex antea, una presunzione iuris et de iure di pericolosità.
Tra dette opere non rientrano i tubi destinati all'illuminazione e i loro arredi: per essi, non espressamente contemplati nella menzionata disposizione, non soccorre la presunzione assoluta di pericolosità, ed è, pertanto, necessario - affinché in via di interpretazione estensiva possa ritenersi ugualmente sussistente l'obbligo di rispettare le distanze ivi previste - accertare in concreto, sulla base delle loro specifiche caratteristiche, e con onere della prova a carico della parte istante, se abbiano o meno attitudine a cagionare danno (cfr. Cass., Sez. 2^, 5 Liarzo 1973, n. 587; Cass., Sez. 2^, 5 novembre 1977, n. 4719; Cass., Sez. 2^, 29 maggio 1986, n. 3643; Cass., Sez. 2^, 3 dicembre 1991, n. 12927; Cass., Sez. 2^, 9 gennaio 1993, n. 145) (Cass. 16 dicembre 2010 n. 25475).
In pratica è la pericolosità della tubazione a far sorgere l'obbligo di rispettare la distanza minima prevista dalla legge; poiché la norma non contiene una elencazione tassativa ma meramente esemplificativa della tipologia di tubazione, la loro pericolosità dovrà essere valutata in concreto.
Per ciò che concerne l'apposizione di tubazioni relativamente agli appartamenti in condominio, la situazione è leggermente differente.
Facciamo riferimento a quanto stabilito dalla Cassazione.
Secondo i giudici di legittimità le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell'art. 889 cod. civ., trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell'edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari; pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sè il contemperamento dei vari interessi al fine dell'ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali (Cass. 21 maggio 2012 n. 12520).
Ciò vuol dire che le norme dettate sulle distanze, allorquando debbano essere applicate al condominio negli edifici, possono essere derogate in ragione del diritto all'uso delle parti comuni previsto dall'art. 1102 c.c.
Il secondo comma dell'art. 889 c.c. prevede una distanza minima di un metro ma il successivo terzo comma fa salve le disposizioni contenute nei regolamenti locali.
Che cosa significa?
Si può ipotizzare che i regolamenti locali (es. regolamenti edilizi) possano prevedere distanze inferiori?
La risposta, almeno secondo la giurisprudenza, è negativa.
In particolare è stato affermato che la suddetta disposizione codicistica (art. 889, secondo comma, c.c. n.d.A.), nel prevedere per i tubi d'acqua pura o lurida la distanza di almeno un metro dal confine, si fonda su una presunzione assoluta di dannosità per infiltrazioni o trasudamenti che non ammette la prova contraria (Cass. 5/4/1997 n. 2964; Cass. 2/2/2009 n. 2558); ne consegue logicamente che l'art. 889 c.c., comma 3, nel prevedere che sono salve in ogni caso le disposizioni dei regolamenti locali, deve essere necessariamente interpretato nel senso che tale normativa può prevedere per i tubi d'acqua una distanza dal confine maggiore di quella minima di un metro per meglio prevenire e scongiurare quei pericoli di pregiudizio per il fondo del vicino che possono derivare dalle suddette infiltrazioni, e non certamente una distanza minore (Cass. 15 marzo 2010 n. 6235).
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