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Uno degli argomenti di maggiore interesse per i consumatori è quello che riguarda il distacco della fornitura di energia elettrica.
Precisamente, ciò che interessa molto, è conoscere i limiti entro i quali detto distacco è consentito dalla legge e superati i quali, invece, è illegittimo.
Il distacco della fornitura di energia elettrica, è sicuramente una delle conseguenze in caso di inadempimento del contratto da parte del somministrato.
Le altre sono la risoluzione del contratto (cui solitamente si accompagna il distacco), nonché l'azione di recupero per eventuali fatture non pagate.
Un ulteriore costo sarà dato dalla riattivazione del servizio, a carico del consumatore (sempre se inadempiente). Il potere che il fornitore ha di interrompere la somministrazione di un bene così importante come l'energia elettrica può essere esercitato entro determinati limiti.
Il distacco della fornitura di energia elettrica è infatti un'operazione che può essere effettuata solo in risposta all'inadempimento dell'altra parte e, anche in quel caso, con esclusione di alcune ipotesi.
In materia, si è espressa una recentissima sentenza, la n. 25731 del 2015 della Corte di Cassazione.
Per inquadrare correttamente l'argomento, premettiamo innanzitutto che il contratto di cui parliamo è un contratto di somministrazione, su cui trovano applicazione, in quanto applicabili, gli artt. 1559 e ss., c.c.
La somministrazione è definita dall'art. 1559 c.c. come il contratto con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell'altra, prestazioni periodiche o continuative di cose.
Tali parole confermano dunque che, nello svolgersi normale del rapporto, le parti sono obbligate, l'una alla somministrazione, l'altra al pagamento del prezzo.
Se invece una delle due parti viene meno, l'altra è legittimata a non adempiere a sua volta; ciò è previsto dalla norma generale sui contratti a prestazioni corrispettive, di cui all'art. 1453 c.c., ma anche dalle specifiche norme del contratto di somministrazione: gli artt. 1564 e 1565 c.c. prevedono infatti che In caso d'inadempimento di una delle parti relativo a singole prestazioni, l'altra può chiedere la risoluzione del contratto, se l'inadempimento ha una notevole importanza ed è tale da menomare la fiducia nell'esattezza dei successivi adempimenti (art. 1464 c.c.) e che se la parte che ha diritto alla somministrazione è inadempiente e l'inadempimento è di lieve entità, il somministrante non può sospendere l'esecuzione del contratto senza dare congruo preavviso (art. 1565 c.c.).
Dunque, chi per primo dei due non adempie, vìola legge e si rende responsabile di inadempimento contrattuale.
Invece, il secondo è giustificato a interrompere la propria prestazione e può anche eventualmente chiedere il risarcimento del danno.
Se il distacco avviene dunque in risposta all'inadempimento, è solitamente legittimo.
Non lo è però, si badi, per quanto ci riguarda, se il consumatore ritardatario paga prima o se ha proposto reclamo, finchè a tale reclamo la società fornitrice non risponde in maniera motivata ad un eventuale reclamo scritto.
La prima ipotesi è confermata dalla sentenza citata, che riportandosi ad altra precedente sentenza, la n. 9624 del 1997, ha affermato che la sospensione della fornitura è legittima solo finchè permane l'inadempimento dell'utente e che detta sospensione, se attuata quando ormai l'utente ha pagato il suo debito, costituisce inadempimento contrattuale e obbliga perciò il somministrante al risarcimento del danno; ciò, prosegue la sentenza, a meno che non sia fornita la prova che tale inadempimento è stato determinato da causa non imputabile al somministrante, ovvero, nella specie, dalla ignoranza incolpevole dell'avvenuto pagamento...
Se poi, conclude sul punto il provvedimento, la mancata conoscenza è dell'ufficio specifico addetto alla sospensione, questo è un fatto interno alla società, la cui disfunzione non può ricadere sul consumatore.
Quanto invece al reclamo, il fatto che la sua proposizione blocchi il distacco è ribadito dalla recente sentenza della Corte di Cassazione, già citata, la quale si riporta a una clausola contrattuale, ma è oggi anche espressamente previsto dalla delibera n.04/2008 dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, la quale sancisce che la società fornitrice non può procedere alla sospensione se non ha fornito una risposta motivata a un eventuale reclamo scritto, relativo alla ricostruzione dei consumi a seguito di malfunzionamento del gruppo di misura accertato dall'impresa distributrice competente o relativo a conguaglio o a fatturazione anomala di consumi (Del. ARG/Elt 4/08 Aeeg, All. A)..
Infatti, nella regolazione del contratto di fornitura di energia elettrica, alle norme del codice civile si aggiungono altre norme, quali ad esempio le delibere dell'Autorità Garante per l'Energia Elettrica ed il Gas, nonché le clausole contrattuali, le quali solitamente specificano, ad esempio, quante devono essere le fatture il cui mancato pagamento legittima il distacco della fornitura.
Parliamo dunque di inadempimento contrattuale.
Se da esso deriva un danno per l'altra parte, detto danno va risarcito.
Si parla in questo caso di di responsabilità contrattuale per distinguerla da quella extracontrattuale, che deriva cioè da fatto illecito e non da contratto.
Il danno risarcibile, secondo la recente sentenza n. 25731 del 2015 della Corte di Cassazione può essere sia quello patrimoniale che quello non patrimoniale.
Infatti, l'inadempimento contrattuale può dunque essere fonte di risarcimento sia del danno patrimoniale che non patrimoniale.
Ricordiamo che il danno patrimoniale è dato, in parole semplici, dalle conseguenze di tipo economico in capo al danneggiato, mentre il danno non patrimoniale, quando non trovano applicazione previsioni di legge che lo prevedano espressamente, può essere riconosciuto se ha comportato la lesione di diritti inviolabili della persona (ex Cass. n. 26972/2008).
In questa ultima ipotesi l'accertamento deve essere operato caso per caso dal giudice, cosa che non è avvenuta nel caso della sentenza n. 25731/2015.
Secondo detta sentenza, dunque, in caso di distacco illegittimo, entrambe le voci di danno possono e dunque debbono essere accertati ed eventualmente risarciti.
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