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Che cos'è il decoro architettonico?
Per rispondere a questa domanda facciamo ricorso alle parole di un illustre studioso della materia. Secondo Gino Terzago, esso rappresenta l'insieme delle linee e delle strutture, ornamentali, che costituiscono la nota dominante e imprimono alle varie parti dell'edificio e all'edificio stesso nel suo insieme una determinata fisionomia ed un particolare pregio estetico (G. Terzago, Il condominio, Giuffrè, 1985).
L'alterazione del decoro, quindi, rappresenta una modificazione dell'aspetto dell'edificio.
Non tutte le trasformazioni, tuttavia, devono essere considerate alla stregua di alterazioni.
Secondo la Cassazione, infatti, l'apprezzabilità dell'alterazione del decoro deve tradursi in un pregiudizio economico che comporti un deprezzamento sia dell'intero fabbricato che delle porzioni in esso comprese, per cui, sotto tale profilo, è necessario tener conto dello stato estetico del fabbricato al momento in cui l'innovazione viene posta in essere (così Cass. 25 gennaio 2010 n. 1286).
L'alterazione del decoro, pertanto, è una modificazione in senso peggiorativo dell'estetica dell'edificio cui segue un danno, economicamente valutabile, per le parti comuni e/o per le parti di proprietà esclusiva; senza danno, quindi, non v'è alterazione. L'onere della prova nei giudizi attinenti l'alterazione del decoro, è bene evidenziarlo, grava su chi se ne lamenta.
Come dire: se l'assemblea ha deciso di modificare una parte comune e da questa modificazione, secondo Caio, ne consegue un'alterazione del decoro dell'edificio, starà a quest'ultimo che la lamenta, nel momento in cui dovesse agire in giudizio, dimostrarne la ricorrenza.
L'alterazione del decoro non riguarda solamente le opere su parti di proprietà comune deliberate dall'assemblea o realizzate da un condomino ai sensi dell'art. 1102 c.c., ossia nell'ambito dell'esercizio del diritto d'uso delle cose comuni, ma riguarda anche le opere su parti di proprietà esclusiva; la disciplina rispetto a questa fattispecie è contenuta nell'art. 1122 c.c.
Tra gli obblighi che la legge pone in capo ai condòmini non v'è solamente quello di contribuire alle spese condominiali (art. 1123 c.c.).Il codice civile impone il rispetto delle delibere e del regolamento di condominio, oltre che, ultimo ma non ultimo, il divieto di compiere sul parti di proprietà esclusiva opere che possano recare danno all'edificio.
L'art. 1122 c.c. di cui stiamo trattando è stato modificato dalla così detta riforma del condominio, altrimenti nota come legge n. 220/2012
Si è trattato, in sostanza, di un intervento chiarificatore che non ha fatto altro che precisare la portata del precetto normativo in considerazione dell'interpretazione giurisprudenziale.
L'art. 1122 c.c., nella versione originaria, rubricata Opere sulle parti dell'edificio di proprietà comune, recitava:
Ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio.
Il nuovo articolo 1122 c.c., quello che si applica dal 18 giugno 2013 (data di entrata in vigore della riforma del condominio), è rubricato Opere su parti di proprietà o uso individuale, e recita:
Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.
In ogni caso è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea.
Differenze? Poche, come si diceva prevalentemente formali e di aggiornamento dell'articolo all'elaborazione giurisprudenziale.
La prima differenza riguarda la rubrica, ossia l'intitolazione degli articoli. Sicuramente la scelta di fare riferimento alle opere su parti di proprietà individuale è più azzeccata rispetto al passato.
Quanto al contenuto dell'articolo, si diceva in precedenza, esso, sostanzialmente, ricalca l'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza.
Nel corso degli anni, infatti, la Cassazione, chiamata a delineare il concetto di danno indicato dall'art. 1122 (formulazione originaria), specificò in più occasioni che il concetto di danno, cui la norma fa riferimento, non va limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o della intrinseca natura della cosa comune, ma esteso anche al danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili della cosa comune, anche se di ordine edonistico od estetico (v. Cass. 27.4.1989, n. 1947), per cui ricadono nel divieto tutte quelle modifiche che costituiscono un peggioramento del decoro architettonico del fabbricato (così, tra le tante, Cass. 19 gennaio 2005, n. 1076).
Il Legislatore della riforma, pertanto, in questo caso s'è limitato ad una mera funzione notarile: ha condensato in un articolo di legge ciò che la giurisprudenza diceva da anni.
È stato anche inserito un secondo comma che prevede la comunicazione dei lavori all'amministratore che poi ne deve riferire all'assemblea: il dettato normativo non pone differenze tra genere di lavori. Leggendo l'art. 1122 c.c., quindi, sembrerebbe doversi concludere che la comunicazione dall'amministratore debba essere inviata sia nel caso di semplice pitturazione delle pareti dell'appartamento, sia nell'ipotesi di opere di manutenzione straordinaria.
La legge non sancisce alcunché in merito a questa comunicazione: in tale contesto, sebbene possa ritenersi sufficiente la mera comunicazione orale è utile inviare la notizia con mezzi che possano dimostrarne il pervenimento al destinatario.
In nessun caso, però, tale incombenza può bloccare l'esecuzione dei lavori che, salvo diversa indicazione di un regolamento contrattuale, continueranno a essere liberi e dovranno essere rispettosi solamente delle indicazioni di cui al primo comma dell'art. 1122 c.c.
L'amministratore che ritenga le opere lesive delle cose comuni, anche senza mandato dell'assemblea cui è tenuto comunque a riferire, può agire promuovendo un'azione per denuncia di nuova opera, rientrando tale iniziativa nell'ambito di quelle a lui demandate dall'art. 1130 c.c. che gli impone di porre in essere gli atti conservativi delle parti comuni.
In che modo le opere eseguite da un condomino su parti dell'edificio di sua proprietà possono incidere sul decoro dell'edificio?
Al riguardo è utile soffermarsi su una pronuncia della Corte di Cassazione, la n. 1326 del 30 gennaio 2012, che ci aiuta a comprendere le valutazioni da farsi.
In questo caso la Corte regolatrice s'è espressa in relazione ad opere realizzate all'interno di un'unità immobiliare e della loro capacità d'incidere, in senso peggiorativo, sull'estetica dell'edificio.
Nella causa decisa con la sentenza n. 1326, uno dei condomini aveva realizzato delle opere nella propria unità immobiliare; le modalità di esecuzione dei lavori ed il loro risultato hanno portato a concludere per l'assenza di alterazione del decoro.
Si legge in sentenza la ristrutturazione è stata effettuata solo mediante opere interne, sicché non essendovi stata alcuna variazione né ampliamento di volume dei locali originari non si è verificata nessuna compromissione per l'accesso al lastrico solare di proprietà condominiale. Questa motivazione vale a escludere la lesione del decoro architettonico del fabbricato, che è logicamente incompatibile con l'insussistenza di modifiche esterne dello stabile (Cass. 30 gennaio 2012 n. 1326).
Il fatto che l'opera sia interna all'unità immobiliare, quindi, aiuta a valutare la stessa come non lesiva del decoro dell'edificio. Chiaramente, sebbene questa localizzazione dell'intervento possa far presumere l'assenza di modificazione dell'estetica dell'edificio, la valutazione dev'essere fatta sempre caso per caso.
È utile ricordare che rientra nel novero delle opere suscettibili di lesione del decoro dell'edificio l'intervento volto a sostituire gli infissi.
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