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La legge 30 dicembre 2004, n. 311 – cosiddetta legge finanziaria per l'anno 2005 – rappresenta uno spartiacque in materia di registrazione del contratto di locazione o meglio di conseguenze per l'omessa registrazione.
L'incertezza creata dalla legge citata è stata risolta, si spera, dalla Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 23601 del 9 ottobre 2017.
In che modo è intervenuta la Corte di legittimità e perché questa sentenza rappresenta un punto di approdo di fondamentale importanza in una materia così delicata?
Per rispondere a questo quesito, bisogna avere chiari alcuni aspetti che corrispondono ad altrettante domande, ossia:
La registrazione dei contratti di locazione – tanto quelli ad uso abitativo, quanto quelli per utilizzazioni differenti – è obbligatoria in quanto prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 (Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro).
L'unica eccezione, ricavabile sempre dal decreto citato, inerente all'obbligo di registrazione riguarda i contratti di locazione per una durata complessiva inferiore a trenta giorni nel corso di un anno.
Si badi: sebbene sia prassi comune la redazione in forma scritta dei contratti di locazione, l'obbligo utilizzare tale forma è previsto espressamente solo per i contratti di locazione ad uso abitativo (legge n. 431/1998). Gli altri contratti possono anche essere conclusi oralmente (es. fitto di un locale commerciale), salvo gli obblighi eventualmente connessi alla durata (il riferimento, in ragione di quanto disposto dall'art. 1350 c.c. è alle così dette locazioni infra-novennali).
Il secondo quesito – per così dire di avvicinamento al tema focale – riguarda la tempistica della registrazione.
Nel primo caso, l'obbligo di registrazione grava sul locatore che ha trenta giorni di tempo per adempiere decorrenti dalla data di conclusione del contratto.
Per le locazioni per usi commerciali e professionali (quelle così dette ad uso differente da quello abitativo), il termine di registrazione è di venti giorni dalla data dell'atto e l'obbligo grava su tutte le parti contraenti (art. 10 d.p.r. n. 131/86).
In termini pratici la registrazione si esegue mediante consegna del contratto di locazione presso gli uffici dell'Agenzia delle Entrate competenti per territorio.
All'atto della registrazione, a meno che non si sia optato per il così detto regime della cedolare secca, la parte dovrà corrispondere l'imposta di registro, nonché quella di bollo.
La finanziaria per l'anno 2005, la legge n. 311/04 citata in principio, ha introdotto una significativa novità che ha creato subbuglio (è un eufemismo) fino alla sentenza delle Sezioni Unite del luglio 2017.
Questa legge al comma 346 dell'art. 1 ha stabilito che ove ne ricorrano i presupposti di legge sono da ritenersi nulli se non vengono registrati i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati.
Ciò vuol dire devono essere sempre registrati altrimenti è come se fossero inesistenti (la nullità è un vizio dal quale discende l'insistente dell'atto che ne è affetto):
Per lunghi anni, cioè per tutto il tredicennio intercorso tra l'approvazione della finanziaria per l'anno 2005 e la sentenza n. 23601 del 9 ottobre 2017 ci si è interrogati sulla reale portata di questa norma.
Davvero l'omessa registrazione poteva avere tale rilevatissima conseguenza?
Davvero l'inadempimento di natura tributaria portava con sé il venire meno di tutte le regole tipiche della locazione, con la conseguenza di arrivare a dover considerare quel rapporto come un'occupazione sine titulo (cioè senza titolo)?
Si badi: il fatto di arrivare a questa – drastica – conseguenza, non voleva stare a significare che le parti non avessero alcuna tutela. L'ordinamento comunque prevede rimedio per questo genere di situazioni e nello specifico l'art. 13 della legge n. 431/98 prevede la facoltà, per il conduttore, di agire in giudizio al fine di ottenere che il rapporto – sorto sulla base di un contratto non registrato dal locatore e quindi nullo – sia riportato ad uno dei tipi previsti dalla legge in ragione delle circostanze previste dal caso concreto.
Si tratta, è bene specificarlo, di un'azione giudiziaria che tende a costituire un rapporto giuridico altrimenti inesistente.
Ciò che hanno detto le Sezioni Unite è differente e di più immediata soluzione.
In breve: la massima espressione del giudice nomofilattico s'è trovata a dover scegliere l'indirizzo interpretativo che guardando alla norma contenuta nella Finanziaria per l'anno 2005, fosse da ritenersi il più ragionevole.
Detta diversamente bisognava optare per una soluzione radicale e strettamente aderente al dato letterale (niente registrazione=contratto nullo), ovvero un'interpretazione più sistematica che consentisse una sanatoria per i ravvedimenti. Così è stato.
Cos'hanno detto i giudici?
Il caso riguardava le locazioni ad uso non abitativo, ma il principio (lo s'è detto espressamente), vale anche per le locazioni ad uso abitativo.
La sostanza del ragionamento portato dalle Sezioni Unite (sent. n. 23601) è questa: se Tizio e Caio stipulano un contratto di locazione e non lo registrano, esso è da considerarsi nullo fintanto che non interviene una registrazione tardiva. In questi casi – ferme restando le sanzioni – poiché viene meno la condizioni della nullità, la regolarità formale e sostanziale del contratto è recuperata e retroagisce fin dalla data di conclusione dell'accordo.
Restano, invece, insanabilmente nulli quegli accordi stipulati separatamente dei contratti che prevedono un canone locatizio in misura maggiore a quello indicato dal contratto medesimo.
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