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In materia di gestione di parti e servizi comuni l'esperienza pratica ci presenta spesso due soggetti giuridici diversi:
i condomini e i consorzi.
Questi ultimi li troviamo spesso, ad esempio, nei complessi residenziali turistici
Sebbene apparentemente simili, si tratta di figure molto diverse.
Infatti, se esse in comune hanno la gestione di parti e servizi comuni, non hanno però in comune la loro ratio: essenzialmente, mentre il condominio nasce per previsione di legge, il consorzio, no, nasce solo se lo si vuole.
Da tali differenze e dal fatto che non esiste una normativa specifica sul consorzio, discende la difficoltà dello stabilire quali norme si applichino a detto istituto.
Si applicano insomma al consorzio le norme sul condominio?
Questa è sostanzialmente la domanda intorno alla quale verte il presente articolo.
Non necessariamente e non sempre, ha risposto, in sintesi, la giurisprudenza, chiamata a rispondere al quesito ormai da tempo, fino anche ai giorni nostri.
Il condominio è un istituto necessario, da cui derivano obbligazioni propter rem: il condominio, cioè, sorge per previsione di legge, se e in quanto l'immobile ha determinate caratteristiche strutturali e giuridiche.
In presenza di tali caratteristiche (essenzialmente, parti comuni e vendita dell'originario costruttore della prima unità immobiliare - v. ad es. Cass. n. 19829/2004), non è richiesto al condòmino di scegliere se farvi parte o a quali condizioni: a parte, infatti, le norme che possono stabilirsi tramite il regolamento contrattuale, tutto il resto, e prime fra tutti le condizioni per l'esistenza stessa del condominio, è dettato dalla legge.
Le obbligazioni si definiscono poi propter rem perché seguono l'immobile e non il proprietario: cioè, al cambiare del proprietario esse ricadranno sul nuovo (sebbene possa succedere che i due siano debitori solidali, ex art. 63 disp. att. c.c.).
Viceversa, il consorzio è assolutamente facoltativo e non regolato quasi per niente dalla normativa civilistica.
La similitudine tra le due figure, come detto, è solo apparente.
Il consorzio, infatti, non è un elemento necessario, ma esiste solo se voluto; e la volontà di appartenervi deve risultare espressamente.
Insomma, nel caso del consorzio, il singolo non subisce in alcun caso la volontà della maggioranza, a meno che non abbia accettato di fare parte del consorzio e che detto consorzio abbia stabilito di funzionare secondo le norme del condominio, dunque di assumere decisioni in base alla maggioranza.
Essendo il consorzio, infatti, privo di norme specifiche, la soluzione più semplice, ma non obbligatoria, sarà l'applicazione delle norme sul condominio.
Esso rientra nel modello delle associazioni non riconosciute e, dunque, ricade sotto la disciplina di cui agli artt. 36 e ss. c.c.
Tale sembra l'orientamento dei Giudici di Legittimità sul punto.
La questione infatti è stata affrontata da più sentenze, le quali sembrano tutte dello stesso avviso.
Ad esempio, nel 1984 con la sentenza n. 4199 la Corte di Cassazione ha ritenuto che il consorzio non rientra in nessuna delle categorie disciplinate dalla legge (codice o leggi speciali), che rientra nelle associazioni non riconosciute di cui agli artt. 36 e ss. c.c.. Dunque, esso è regolato dagli accordi degli associati, dalle norme di cui agli artt. 36 e ss. c.c. e dalle norme in genere applicabili alle associazioni senza personalità giuridica.
Per cui, la detta sentenza ha statuito che le disposizioni in materia di condominio non sono estensibili al consorzio perché i due istituti giuridici, nonostante le numerose analogie, presentano anche caratteristiche diverse, così testualmente:
...il condominio di edifici è una forma di proprietà plurima, derivante dalla struttura stessa del fabbricato e regolata interamente da norme che rimangono nel campo dei diritti reali, con la conseguenza, che il carattere di immobile condominiale è una qualitas fundi che inerisce al bene e lo segue, con i relativi oneri, presso qualsiasi acquirente; il consorzio, che ha un livello di organizzazione più elevato, appartiene, invece, alla categoria delle associazioni, con la conseguente rilevanza della volontà del singolo di partecipare o meno all'ente sociale, pur potendo tale volontà essere ricavata (se non esiste una contraria norma di statuto o di legge) da presunzioni o da fatti concludenti, quali la consapevolezza di acquistare un immobile compreso in un consorzio, oppure l'utilizzazione concreta dei servizi messi a disposizione dei partecipanti.
Successivamente, nel 2010, con la sentenza n. 5888, la Corte si è rifatta a tale conclusione, affermando altresì che nei consorzi la volontà dei singoli di partecipare deve risultare da una valida manifestazione (v. anche Cass. n. 6666/2005, ove si spiega che altrimenti si violerebbe il diritto di associarsi liberamente tutelato dall'art. 18, Cost.) e che l'obbligo di chi subentra nella proprietà di un immobile facente parte di un consorzio non può essere affermato ritenendo l'obbligazione di pagamento delle spese consortili una obbligazione propter rem, giacchè tali obbligazioni sono caratterizzate dal requisito della tipicità, con la conseguenza che possono sorgere per contratto solo nei casi e col contenuto espressamente previsti dalla legge (Cass., n. 25289 del 2007, e precedenti ivi citati).
In sostanza, si afferma che nei consorzi non vi è passaggio nelle obbligazioni con il semplice passaggio di proprietà.
Infine nel 2015 con la sentenza n. 11035 del 28 maggio scorso la Corte si è rifatta alle dette sentenze, e ha pertanto affermato che non sono dovuti i contributi pretesi dal consorzio dal momento che l'opponente aveva con estrema chiarezza comunicato il recesso dal consorzio stesso.
La Corte ha infatti affermato che non è sufficiente rinvenire l'obbligo di pagare da parte del soggetto che non ha aderito al consorzio nella previsione di cui all'art. 1104 c.c., che prevede che ciascun partecipante deve contribuire alle spese per la conservazione e il godimento della cosa comune (v. anche Cass. n. 5888/2010).
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