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Il condominio, dal punto di vista della gestione, viene definito come ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica.
Questa definizione è stata criticata dalla giurisprudenza più autorevole (cfr. Cass. SS.UU. n. 9148/08), ma c'è da dire che le sezioni semplici della Cassazione ed i giudici di merito continuano ad utilizzarla.
Non manca, tra gli addetti ai lavori, chi definisce il condominio come una sorta di ectoplasma giuridico: né ente di gestione, né associazione o società.
La legge n. 220/2012, la così detta riforma del condominio, da questo punto di vista non ha dissipato alcun dubbio, evitando d'intervenire sull'argomento.
Lasciamo da parte le dispute sulla natura giuridica del condominio e soffermiamoci sulle articolazioni attraverso le quale la compagine agisce.
Il riferimento è all'amministratore di condominio ed all'assemblea condominiale: si tratta di organi (in gergo tecnico anche se impropriamente vengono così detti) attraverso i quali la compagine pone in essere atti giuridici interagendo con terzi o propri partecipanti.
A questi organi già prima dell'entrata in vigore della riforma ed a maggior ragione dopo, va affiancato il così detto consiglio di condominio.
Prima d'entrare nel merito delle modalità di nomina del consiglio e sulle sue competenze, vale la pena soffermarsi brevemente sulle funzioni degli altri due organi.
Chi è l'amministratore di condominio?
Come può essere definita l'assemblea condominiale?
Dottrina e giurisprudenza, prima dell'entrata in vigore della riforma hanno fornito delle risposte ai quesiti; queste mantengono la propria validità anche dopo il 18 giugno 2013, vale a dire dopo l'entrata in vigore della legge n. 220/2012.
L'amministratore del condominio raffigura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza: con la conseguente applicazione, nei rapporti tra l'amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato (così Cass. SS.UU. 8 aprile 2008 n. 9148).
Il legislatore della riforma, proprio in considerazione di quest'orientamento, ha recepito in legge l'equiparazione amministratore-mandatario.
Quanto all'assemblea, autorevole dottrina in campo condominiale la definisce come l'organo supremo, preminente del condominio. È la voce di questo, è la sua volontà all'interno del gruppo con riflessi immediati all'esterno. È organo naturale (che non richiede alcuna nomina), strutturale e permanente (Branca, Comunione Condominio negli edifici, Zanichelli, 1982).
La differenza tra amministratore ed assemblea può essere rintracciata in due elementi fondamentali:
a) l'assemblea esiste sempre mentre l'amministratore dev'essere nominato solo se i condomini sono più di otto (cfr. art. 1129 c.c.);
b) l'assemblea è organo decisionale, mentre l'amministratore rappresenta l'esecutore delle delibere e dei compiti attribuitigli dalla legge.
Già prima dell'entrata in vigore della riforma molti regolamenti di condominio, soprattutto nelle compagini di grosse dimensioni, prevedevano l'istituzione di un così detto consiglio di condominio.
Si trattava, ne parlavamo all'epoca specificandone compiti, funzioni e modalità di costituzione, di un organo (sempre nel senso atecnico del termine) con funzioni consultive e di controllo.
In buona sostanza il consiglio dei condomini rappresenta un gruppo di comproprietari più ristretto rispetto all'assemblea vera e propria che ha come unici compiti quelli di coadiuvare nella gestione l'amministratore e di controllarne l'operato.
I limiti di queste funzioni in relazione alle specifiche attività gestorie devono essere individuati dal regolamento e/o dalla delibera istitutiva del consiglio stesso.
Molto spesso i consigli servono soprattutto a coadiuvare l'amministratore nei casi di manutenzione straordinaria di notevole entità.
In tal senso si esprimeva anche la Suprema Corte di Cassazione la quale l'assemblea può deliberare di nominare una commissione di condomini con l'incarico di esaminare i preventivi e le relative spese per valutare quali di essi sia meglio rispondente alle esigenze del Condominio, con la conseguenza che una tal delibera, in sé, è del tutto legittima; è altresì vero, però, che la scelta ed il riparto effettuati dalla commissione perché siano vincolanti per tutti i condomini (anche cioè per i dissenzienti) andavano riportati in assemblea per l'approvazione con le maggioranze prescritte non essendo delegabili ai singoli condomini, anche riuniti in un gruppo, le funzioni dell'assemblea (così Cass. 6 marzo 2007 n. 5130).
La legge n. 220/2012 è intervenuta sull'argomento.
Il secondo comma dell'art. 1130-bis del codice civile recita:
L'assemblea può anche nominare, oltre all'amministratore, un consiglio di condominio composto da almeno tre condomini negli edifici di almeno dodici unità immobiliari. Il consiglio ha funzioni consultive e di controllo.
La norma è scritta malissimo.
Il riferimento alle unità immobiliari sembra slegare l'esistenza del consiglio dal numero dei condomini anche se la reale intenzione del legislatore, leggendo il comma nel contesto normativo complessivo, parrebbe quella di consentire l'istituzione di un consiglio solamente nei condomini con almeno 12 partecipanti.
Su funzioni e quorum deliberativi, invece, vale ancora quanto si diceva in passato, pur essendo leggermente diversi i quorum deliberativi, ossia:
a) in prima convocazione l'istituzione del consiglio è validamente deliberata con il voto favorevole della maggioranza dei presenti ed almeno 500 millesimi;
b) in seconda convocazione la delibera di costituzione è valida se viene raggiuntyo il voto favorevole della maggioranza dei presenti ed almeno la metà del valore dell'edificio.
Resta un dubbio: siccome la materia attiene all'amministrazione della cosa comune, e siccome per deliberare in merito ad essa, se lo si fa approvando un regolamento condominiale è sempre necessario il voto indicato al punto a), forse bisogna considerare sempre necessario questo quorum deliberativo?
Chiarito ciò è utile domandarsi: chi può convocare il consiglio dei condomini e con che modalità?
In effetti pur prevedendone l'istituzione il codice civile non contiene norme finalizzate alla disciplina della convocazione del consiglio.
In prima istanza è quindi necessario consultare il regolamento di condominio e/o la deliberazione assembleare con la quale si è deciso d'istituirlo. Nel silenzio di questi atti si possono applicare analogicamente le norme relative all'assemblea?
In effetti la soluzione più logica sembrerebbe proprio questa, tuttavia la differente funzione svolta unitamente al fatto che il parere del consiglio non è per nulla vincolante potrebbero far concludere per una maggiore informalità rispetto a questo adempimento.
Nonostante ciò non può non ignorarsi che a giusta ragione i condomini potrebbero lamentarsi presso l'amministratore del fatto che egli non tenga nella giusta considerazione il consiglio non convocandolo o facendo in modo da rendere praticamente impossibile l'adunanza.
Proprio in ragione di queste considerazioni è consigliabile, sebbene con minore formalismo e maggiore snellezza (es. non necessariamente rispetto di 5 giorni liberi tra convocazione e adunanza), l'amministratore faccia in modo che delle convocazioni del consiglio rimanga sempre traccia in modo tale da garantire ai condomini la trasparenza nella gestione del condominio ed a se stesso l'inconveniente di rimproveri per non aver operato diligentemente.
Al pari della convocazione anche per lo svolgimento del consiglio non esistono norme di legge.
Nel silenzio di regolamento o deliberare istitutiva quindi, si dovrà solamente fare in modo che rimanga traccia documentabile delle decisioni prese. In questo caso, quindi, la redazione del verbale, al pari dell'assemblea, sembra doverosa.
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