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Il limite di tollerabilità del rumore non è assoluto e unico per tutti i casi, ma va individuato rapportando il rumore alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo.
Questo essenzialmente il principio (ri)affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 28201 depositata il 5 novembre 2018.
Vediamo brevemente qual è la questione concreta che ha dato luogo alla controversia e come è stata risolta dalla sentenza citata.
Ciò che aveva dato luogo al giudizio deciso dalla sentenza n. 28201 del 2018 era una delle tante liti tra vicini di casa originate dai fastidi provocati dal rumore tra vicini di casa; chiameremo i protagonisti della lite Tizio (vicino disturbato dal rumore) e Caio (presunto rumoroso).
Questi i fatti di causa.
Tizio aveva convenuto in giudizio Caio affermando che a seguito delle modifiche apportate all'abitazione, e cioè lo spostamento del locale dedicato alla cucina, si era prodotta una situazione di rumorosità a suo dire intollerabile al punto da richiedere l'inibitoria del giudice.
La cucina era infatti stata spostata in corrispondenza della camera da letto dell'abitazione della controparte, situata al piano di sotto.
Il proprietario della cucina si era opposto affermando che i rumori erano effetto del normale uso dell'immobile, che la diffusione ai piani di sotto era favorita dalla struttura del palazzo e che lo spostamento del locale cucina non aveva modificato il carico acustico sui piani sottostanti.
Sia il giudice di pace che il tribunale in sede di appello avevano accolto la domanda con la motivazione che lo spostamento della cucina aveva comportato il superamento di tre decibel il rispetto alla rumorosità di fondo.
Accolta la richiesta in primo grado e confermata la sentenza in secondo, la situazione si ribalta, come vedremo più avanti, in grado di legittimità, davanti alla Corte di Cassazione.
Il concetto di intollerabilità dei rumori in condominio è previsto dalla norma regolatrice della materia, quella contenuta nell'art. 844 c.c., a mente del quale, per quanto qui interessa, il proprietario non può impedire le immissioni (tra cui quelle rumorose) derivanti dalla proprietà vicina, fino a che non superano la normale tollerabilità; la norma prescrive che nella individuazione della normale tollerabilità si deva anche considerare la condizione dei luoghi.
Quindi, chi agisce in giudizio per chiedere l'ordine di interruzione dell'attività che origina i rumori molesti provenienti dalla proprietà vicina, deve dare prova dell'intollerabilità degli stessi.
Esistono dei valori tabellari i cui dati non possono essere superati; anche se dette tabelle, regolano il rumore nel rapporto del cittadino con la pubblica amministrazione: una discoteca ad es., deve rispettare determinati limiti, altrimenti incorre nelle sanzioni di legge; ai fini della determinazione della tollerabilità nei rapporti tra privati non sempre rileva, secondo le sentenze, se vi sia stato oppure no il superamento dei detti valori (v. ad es. Cass. n. 1606/2017 o Cass. n. 17051/2011).
In ambito civilistico, quindi nei rapporti di vicinato, la liceità è data dal rispetto del diverso limite della tollerabilità.
In ogni caso, la valutazione del superamento del detto limite quale termine deve avere?
Insomma, è il silenzio assoluto il parametro da utilizzare?
In realtà già in primo grado il ricorrente aveva contestato che la rilevazione del rumore era stata effettuata in condizioni di assoluto silenzio e solo all'interno dei locali posti in corrispondenza del vano cucina; di conseguenza, in appello il tribunale aveva disposto una nuova consulenza tecnica, da cui era emerso che il superamento delle soglie si aveva solo con l'uso della scopa elettrica, elemento che comunque non era stato provocato dallo spostamento della cucina negando che però le immissioni fossero effetto delle trasformazioni eseguite nel vano destinato a cucina; ciò nonostante, il tribunale aveva poi confermato la sentenza di primo grado, che aveva affermato il superamento della tollerabilità in base alla prova testimoniale (secondo cui nella camera da letto erano percepibili anche le voci provenienti dal piano di sopra) e alle risultanze della CTU.
Ma, la circostanza che la rilevazione del rumore in primo grado era stata effettuata in condizioni di assoluto silenzio e solo all'interno della camera da letto, elemento che aveva indotto anche il giudice dell'appello a disporre l'integrazione della CTU, inducono la Corte ad accogliere il ricorso.
La Corte si riporta al principio secondo cui, nel valutare se il rumore controverso è tollerabile oppure di no, il giudice dovrà tenere conto della situazione ambientale nel suo complesso, situazione variabile da luogo a luogo, nonché del rumore di fondo.
Dunque, non può porre a fondamento del suo giudizio il parametro del silenzio.
Il principio è affermato dalla sentenza in commento, in tali termini:
il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante della zona, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (cd. criterio comparativo), per cui la valutazione diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita alla situazione locale, appropriatamente e globalmente considerata (Cass. 17051/2011; Cass. 3438/2010).
Occorre a tal fine considerare il complesso di suoni, di origine varia spesso non identificabile, continui e caratteristici della zona si quali si innestano di volta in volta rumori più intensi (prodotti da voci, veicoli, eccetera), tutti elementi che devono essere valutati in modo obiettivo in relazione alla reattività dell'uomo medio, prescindendo da considerazioni attinenti alle singole persone interessate dalle immissioni (condizioni fisiche o psichiche, assuefazione o meno alla rumorosità; cfr., Cass. 38/1976) (Cass. n. 28201/2018).
Il principio è stato già affermato in precedenza, ad es. dalla sentenza della stessa Corte di Cassazione n. 17051 del 2011 in una controversia relativa al rumore provocato dai frigoriferi di una salumeria e non sopportati dal proprietario dell'unità immobiliare posta al piano di sopra.
Lo stesso principio è stato affermato dalla sentenza n. 3438 del 2010 emessa dalla Corte di Cassazione in una controversia in un condominio relativa ai rumori emessi da un bruciatore e un'autoclave posti all'interno di una proprietà.
Sentenze queste, entrambe richiamate dalla decisione in commento.
Sulla base di tale principio, la sentenza in commento ribalta la situazione prodotta dalle due precedenti (di primo e secondo grado): in primo grado, infatti, si era ritenuto di misurare il rumore solo all'interno della proprietà della resistente e in condizione di assoluto silenzio.
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