I parcheggio in condominio accende spesso liti, ma non è configurabile una servitù di parcheggio per due motivi molto semplici che andremo ad approfondire ora.
La questione dei parcheggi è uno di quegli argomenti che genera maggiore litigiosità in campo condominiale.
La paura di lasciare la macchina incustodita per strada, la necessità di avvicinarla all'abitazione quanto più è possibile per problemi fisici e alle volte, molto più banalmente, semplici contrasti con il vicino:
queste le motivazioni che, molto spesso, sono poste alla base delle discussioni per i parcheggi.
Accade poi che le parti trovino degli accordi per usufruire degli spazi comuni.
Quando tutto sembra risolto è sufficiente la cessione di un appartamento per rimettere tutto in discussione.
Così si sente dire, da chi vuol mantenere il privilegio acquisito e concesso molto tempo prima, che si è usucapita una servitù di parcheggio.
Vale subito la pena sgombrare il campo da ogni dubbio: non è configurabile una servitù di parcheggio per due motivi molto semplici che andremo ad approfondire cui di seguito.
Innanzitutto per servitù s'intende il peso imposto sopra un fondo (detto servente) a favore di un altro fondo (detto dominate).
L'esempio classico è quello della servitù di passaggio.
Tizio, proprietario del fondo dominante, non ha accesso diretto alla strada sicché ha diritto di passare sul fondo servente, di Caio, per accedervi.
Caratteristica fondamentale della servitù è la predialità, ossia il fatto che l'utilità debba essere strettamente connessa al fondo e quindi, solo per tale effetto estesa al suo proprietario.
Le servitù possono essere costituite per accordo tra le parti, possono imposte con una sentenza o, ancora, possono essere usucapite, vale a dire le si acquista per il fatto che siano state esercitate per lungo periodo (almeno 20 anni) senza che sia mai stato contestato nulla.
Per essere usucapite, infine, le servitù devono essere apparenti (art. 1061 c.c.) vale a dire devono essere presenti opere destinate in modo permanente ed inequivocabile al loro esercizio (si pensi ad un ponte o ad una passerella per le servitù di passaggio).
Nel caso del parcheggio, come ricordato da una recente sentenza della Suprema Corte (la n. 20409/09), non si può configurare una servitù nè la si può usucapire, per la mancanza di entrambi i requisiti della predialità e dell'apparenza.
Per quanto riguarda l'apparenza si potrebbe obiettare che la delimitazione dello spazio per la sosta, con le classiche strisce bianche, possa essere considerato come elemento indicatore di un asservimento dello spazio comune ad un determinato uso.
Quand'anche fosse così mancherebbe comunque l'altro requisito, cioè la predialità.
Il Supremo Collegio, infatti, ha osservato che il parcheggio dell'auto non rientra nello schema di alcun diritto di servitù, difettando la caratteristica tipica di detto diritto, ovverosia la "realità" (inerenza al fondo dominante dell'utilità così come al fondo servente del peso), in quanto la comodità di parcheggiare l'auto per specifiche persone che accedono al fondo non può valutarsi come una utilità inerente al fondo stesso, trattandosi di un vantaggio del tutto personale dei proprietari" (Cass. n. 1551 del 2009) (così Cass. 23 settembre 2009 n. 20409).
In definitiva il fatto di parcheggiare l'auto per lungo tempo in uno stesso punto, salvo che si tratti di parcheggio assegnato dal regolamento di condominio o da una delibera assembleare, non potrà mai attribuire un diritto di servitù di parcheggio per usucapione dello stesso.
Se, invece, questo parcheggio fosse concesso dal condominio o dal proprietario della zona nella quale si sosta, al momento della cessione (sia da parte del fruitore che del concedente) questo diritto, se non espressamente menzionato, decadrebbe trattandosi semplicemente di un'obbligazione di carattere personale.