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Secondo l'art. 1102 c.c. ogni partecipante alla comunione può usare la cosa comune con il limite di non alterarne la destinazione e di non impedire agli altri di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Sebbene si riferisca alla comunione, la norma è applicata anche al condominio, per via del rinvio generale dell'art. 1139 c.c. e per via altresì della idoneità della specifica norma a completare le norme sull'uso della cosa comune nei condominii.
Tale uso deve, oltre che, come detto, rispettare la destinazione della cosa, e non impedire agli altri di farne parimenti uso, non alterare il decoro achitettonico (v. Cass. n. 8852/2004).
Infatti, è stato detto con l'art. 1102 c.c., è altresì, l'addentellato normativo che consente di ritenere illecite le opere dei singoli condomini sulle parti comuni laddove le stesse siano lesive del decoro dello stabile. In effetti, l'alterazione del decoro architettonico è vietata espressamente, dalle norme dettate in materia di condominio negli edifici, solamente laddove la stessa sia conseguenza di un'innovazione deliberata dall'assemblea (A. Gallucci, Il condomnio negli edifici, pag. 69, 2013, Cedam).
Infatti, secondo l'ultimo comma dell'art. 1120 c.c., rimasto invariato con la riforma sul condominio di cui alla L. 220/2012, sono vietate le innovazioni (approvate in assemblea) che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.
Tra le multiformi possibilità che la casistica giurisprudenziale offre vi è anche quella relativa alle contestazioni relative all'uso del seminterrato come parte comune condominiale.
Nel caso risolto dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 8857/2015, la controversia sorge ancora una volta per l'opposizione alla delibera approvata in assemblea dalla maggioranza dei presenti, di un condizionatore sulla parete condominiale del seminterrato da parte di alcuni condomini, per un uso esclusivo della stessa.
In particolare, nel giudizio cui ci riferiamo, i manufatti oggetto della discordia si trovano nel disimpegno del seminterrato, accanto all'accesso alle cantine e di fronte alla centrale termica.
Possono innanzitutto detti condizionatori violare il concetto di decoro architettonico? Ebbene no.
Così è deciso, senza discontinuità, dal primo al terzo grado di giudizio.
E ciò non solo per l'esiguità della parte comune occupata, data dalle dimensioni del manufatto, come del tubo, della vaschetta dell'acqua e della fioriera posta a nasconderli; ma, anche per la considerazione della specificità della parte comune coinvolta: si tratta infatti di disimpegno di passaggio al seminterrato; cosa ben diversa dall'androne menzionato dall'attore.
Altra questione sottoposta all'attenzione dei giudici riguarda la domanda se l'utilizzo della cosa comune del seminterrato per l'apposizione del condizionatore rappresenti un uso illecito della stessa oppure è semplicemente un suo uso più intenso, consentito dall'art. 1102 c.c..
Il Giudice di Legittimità, confermando anche su questo punto le decisioni dei precedenti gradi, nega che possa trattarsi di uso illegittimo della cosa comune.
Precisa sul punto che un uso più intenso (e dunque lecito) può anche essere rappresentato da un uso esclusivo della parte; cioè, l'uso più intenso non può estrinsecarsi in un limitato uso esclusivo della stessa: se non incide sulla sostanziale fruibilità di essa da parte degli altri condomini, deve dirsi pienamente legittimo.
Ragionando diversamente, ammettendo cioè il limite dell'uso esclusivo, si concluderebbe con l'avvallare azioni meramente emulative, cioè esperite al solo fine di danneggare gli altri (v. Cass. n. 8857/15) e non di tutelare un interesse del singolo condomino.
Tali atti, cioè quelli posti al solo fine di nuocere o recare molestia ad altri, sono peraltro vietati dall'art. 833 c.c.
L'utilizzo che deve essere garantito è quello che consente una compatibilità dell'uso in atto con quelli prevedibili in concreto da parte degli altri condomini e non un uso identico e contemporaneo (v. Cass. n. 4617/07).
Peraltro, in un caso deciso altrettanto di recente (v. Cass. n. 9660/2015) in merito all'apposizione di condizionatori sulla parete di un balcone, caso in cui l'utilizzo da parte degli altri non era materialmene possibile, ciò nonostante non è stata riconosciuta la violazione dei suddetti principi in materia di uso della cosa comune.
La motivazione posta alla base di detta decisione in sostanza afferma che bisogna vedere caso per caso se gli altri condomini farebbero pari utilizzo del bene ma non possono, o se in realtà non vi sono affatto interessati: se tale interesse non sussiste non rileva che solo uno eserciti l'uso, perché solo lui è interessato, dunque non arreca alcun danno gli altri.
Viene da dire che spesso le decisioni cui pervengono i giudici (magari in ben tre gradi di giudizio) si sarebbero potute adottare senza adire la giustizia, solo con un po' di buon senso e coltivando la pace sociale, piuttosto che il conflitto.
Sembra confermarsi l'idea che in materia condominiale gli incontri di mediazione (se quelli in assemblea non dovessero bastare), se affrontati con le migliori intenzioni da parte di tutti, potrebbero fare i miracoli nel risolvere i problemi di convivenza in condominio, portando magari a conclusioni che invece della vittoria (da una parte) e della soccombenza (dall'altra) potrebbero contenere una soluzione condivisa da tutti.
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