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Per rispondere alla domanda: a chi spetta la casa coniugale in caso di separazione, non è possibile trovare una univoca soluzione.
Sono tante le circostanze di cui tenere presente, in primis la presenza o meno di prole.
Nel contesto della crisi di coppia con conseguente separazione, una delle questioni più controversie e delicate concerne la casa coniugale e la sua assegnazione.
Trattasi di una decisione che non solo tiene conto della sfera patrimoniale, ma tocca direttamente la sfera emotiva e il benessere dei figli, quali soggetti più vulnerabili coinvolti.
Casa coniugale e separazione - Getty Images
Non a caso il legislatore, infatti, ha cercato di delineare la giusta traiettoria da seguire, sulla falsariga della portata giurisprudenziale.
E in effetti il diritto all'assegnazione della casa familiare non fa leva su motivo di proprietà o di status coniugale, ma sulla capacità di protezione dell’habitat domestico dei minori.
L’articolo 337-series , entrato a far parte del Codice Civile con il D.lgs. 154/2013, è un pilastro normativo per l'argomento in trattazione.
Stante a quest'articolo, il godimento della casa familiare si pone in essere tenendo conto in via prioritaria dell’interesse dei figli.
La qual cosa vuol dire che la scelta non è affidata a criteri patrimoniali, né a valutazioni sulla condotta dei coniugi, ma esclusivamente alla tutela della stabilità e della continuità dell’ambiente in cui i figli hanno vissuto.
Il giudice, all'atto della separazione, deve pertanto effettuare una valutazione circa quale dei due genitori sia nella posizione di offrire le condizioni più idonee a garantire la permanenza dei figli nella casa in cui sono cresciuti.
Così facendo si preserva il loro equilibrio affettivo e relazionale.
È norma comune, comunque, che la casa viene assegnata al genitore collocatario, ovvero colui con cui i figli convivono prevalentemente, anche in presenza di affidamento congiunto.
La giurisprudenza ha contribuito a chiarire la nozione stessa di “casa familiare”, estendendola non solo all’immobile adibito a residenza della famiglia.
Ma anche agli arredi, agli spazi accessori e a tutto ciò che contribuisce a definire l’ambiente domestico in senso ampio.
Non vi rientrano, tuttavia, i beni strettamente personali dei coniugi, che possono essere oggetto di restituzione (Cass. civ., sent. n. 7865/1994).
Casa coniugale - Getty Images
Tale visione allargata serve a sottolineare che l’assegnazione della casa familiare non ha una funzione economica, ma risponde a un fine di protezione sociale.
Ovvero evitare ai figli un doppio trauma, quello della separazione dei genitori e quello dello sradicamento dal proprio spazio abituale.
Occorre in tal sede precisare che il diritto a godere della casa familiare non è perpetuo né incondizionato.
Sempre per l’art. 337-sexies, comma 1, tale diritto cessa nel momento in cui l’assegnatario non abita più stabilmente nella casa oggetto di contesa.
Oppure quando intraprende una nuova convivenza o contrae nuovo matrimonio.
Si tratta di condizioni che, per la loro natura, fanno venir meno il legame stretto tra la casa e l’ambiente familiare originario che si voleva tutelare.
Anche se i figli smettono di coabitare con il genitore assegnatario, sia in maniera definitiva che in maniera irreversibile, ne consegue la revoca dell’assegnazione (Cass. civ., sent. n. 14348/2012).
È evidente, dunque, che l’assegnazione è legata a doppio filo con la presenza dei figli nell’immobile: una volta venuto meno questo presupposto, il diritto si estingue.
Tra le pronunce più significative in materia troviamo la sentenza n. 13603 del 2004 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Durante la disamina di questo caso ad hoc, la Suprema Corte ha precisato che l’assegnazione della casa familiare è volta in maniera esclusiva alla tutela dell’interesse dei figli e non a quello patrimoniale del coniuge.
Il provvedimento, pertanto, non può essere disposto a favore del coniuge più debole economicamente se non vi sono figli conviventi da tutelare.
Il ragionamento della Corte va a far leva sul bisogno di salvaguardare la quotidianità dei minori.
Dunque la casa rappresenta per loro un “centro di interessi”, un posto in cui si concentrano i legami affettivi, le abitudini, le relazioni scolastiche e sociali.
Privarli di questo riferimento significherebbe acuire il disagio già provocato dalla disgregazione del nucleo familiare.
In altri termini, è la centralità del minore che guida la decisione giudiziale, e non la posizione giuridica del genitore sull’immobile.
La legge e la giurisprudenza tendono ad avvalersi degli stessi principi anche al caso in cui la casa familiare non sia di proprietà, ma in locazione.
In questa specifica situazione, la casa si assegna lo stesso al genitore collocatario dei figli, anche se non è il conduttore del contratto.
Un tale orientamento è stato confermato dalla Cassazione, che ha stabilito il subentro dell’assegnatario nel contratto di locazione, con la conseguente estinzione del rapporto in capo all’altro coniuge.
Separazione casa in affitto - Getty Images
La ragion d'essere è la medesima.
Ovvero garantire la continuità abitativa dei figli.
Anche quando entrambi i coniugi erano titolari del contratto, l’assegnatario subentra nella totalità del rapporto, diventando l’unico inquilino.
Tale step non è solo simbolico, ma produce effetti giuridici rilevanti, rendendo inopponibile al locatore la volontà del coniuge non assegnatario di tornare a disporre dell’immobile.
La regola generale vuole che il coniuge assegnatario sia tenuto a farsi carico del pagamento del canone di locazione.
Tuttavia, il giudice può tenere conto di questa circostanza nella determinazione dell’assegno di mantenimento.
Se il genitore affidatario versa in condizioni economiche svantaggiate, l’altro genitore potrebbe essere obbligato a contribuire, in modo da garantire un equilibrio tra le parti e, ancora una volta, la stabilità del minore.
Affitto dopo separazione - Getty Images
Il giudice è chiamato a compiere un delicato bilanciamento tra diritti patrimoniali e bisogni affettivi, tenendo sempre fermo l’obiettivo primario.
In primis ridurre al minimo l’impatto della separazione sui figli e garantire loro la possibilità di crescere in un ambiente il più possibile stabile e familiare, anche in un contesto di crisi.
La casa, in questo senso, non è solo un luogo fisico, ma lo specchio di una dimensione affettiva che il diritto ha il dovere di salvaguardare.
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