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Ho una casa all'estero devo dichiararla?
Sono tenuto a versare delle imposte per tali immobili siti fuori dal territorio nazionale?
Queste sono frequenti interrogativi che proprietari di immobili residenti fiscalmente in Italia si pongono e che spesso si rivelano di non facile risoluzione, in alcuni casi per la frammentarietà delle informazioni al riguardo.
È bene precisare sin da ora che essere proprietari di un immobile, a esempio una seconda casa all'estero, non esime il contribuente che risiede in Italia dal pagamento di specifiche imposte e dal rispetto di obblighi di natura dichiarativa.
In altri termini, i proprietari di immobili all'estero ma residenti in Italia, possono in taluni casi, essere soggetti al rispetto rigoroso di specifici obblighi dichiarativi e di versamento secondo l'ordinamento italiano.
Ciò in quanto ai sensi dell'art. 3 TUIR in taluni casi e in presenza di specifici presupposti, i proventi possono rilevare fiscalmente anche in Italia, in ragione del principio di imposizione su scala mondiale.
Preliminarmente occorre, seppur per brevi cenni e per tratti essenziali, chiarire quando si è residenti fiscalmente in Italia.
La precisazione, in ordine alla residenza fiscale, non è di poco conto, atteso che sussiste una differenza fra il concetto di residenza, disciplinata dal codice civile e il diverso concetto di residenza ai fini fiscali.
Ai sensi dell'art. 43 c.c. la residenza è il luogo in cui la persona ha la dimora abituale.
La dimora abituale è, invece, il luogo in cui si vive abitualmente e in cui si dichiara l'indirizzo della abitazione principale.
Nella maggior parte dei casi la residenza è anche la dimora abituale, ma non è sempre cosi.
Per completezza si precisa che il domicilio è invece il luogo in cui si stabilisce la sede principale dei suoi affari e interessi.
Il primo riferimento da consultare per comprendere se ci si trovi nella condizione di dover versare delle imposte o adempiere a obblighi dichiarativi verso l'Amministrazione finanziaria è rappresentato dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni.
Si tratta di accordi bilaterali stipulati a livello internazionale, con i quali i Paesi firmatari regolano reciprocamente, l'esercizio della potestà impositiva con il precipuo scopo di eliminare fenomeni di doppia imposizione sui redditi e/o sul patrimonio, gravanti sui soggetti economici residenti nei vari Paesi nel mondo, che sarebbero in contrasto con generali e ineludibili principi in materia di libera circolazione delle persone e dei capitali, previsto specificamente in ambito unionale.
Nelle ipotesi in cui gli immobili siti all'estero, di proprietà di un soggetto italiano, siano produttivi di reddito e rilevanti fiscalmente nello Stato dove è sito l'immobile e nello Stato ove il proprietario è residente, si pone il problema di doppia imposizione.
Come noto, tale problema è suscettibile di disincentivare gli investimenti che riguardano gli immobili in altri Stati, diversi da quello di residenza (Corte di Giustizia dell'Unione Europea, 12 aprile 2018, causa – C110/17).
Al fine di eliminare o limitare il fenomeno della doppia imposizione, con riferimento al medesimo presupposto impositivo, l'Italia ha firmato con la quasi totalità di Paesi con cui intrattiene rapporti commerciali una Convenzione contro le doppie imposizioni.
La quasi totalità di tali accordi bilaterali “ricalca” il modello di Convenzione approvato in sede OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).
Tale modello all'art. 6 reca la disposizione secondo la quale gli immobili devo essere tassati nello Stato in cui sono situati. Dottrina e giurisprudenza pronunciatesi sul punto, concordano nel ritenere che la previsione di tassabilità degli immobili in Paesi ove sono ubicati, affermata in ambito OCSE, non esclude tout court l'assoggettamento a imposta anche nell'altro Stato di residenza del contribuente proprietario.
Nelle ipotesi in cui dalla Convenzione emerga che il reddito derivante da un immobile all'estero debba essere soggetto anche in Italia, occorre individuare il regime applicabile.
La prima forma di imposizione che viene in evidenza è rappresentata dal caso in cui l'immobile sito all'estero sia concesso in locazione. In tal caso, il proprietario residente in Italia è titolare di un reddito tassabile in Italia anche se prodotto all'estero.
Al riguardo, il riferimento normativo è contenuto nell'art. 70, TUIR, il quale, in linea generale, distingue le ipotesi in cui il reddito derivante dal possesso di immobili di fonte estera sia assoggettato a tassazione dalla diversa ipotesi in cui i proventi non siano tassati nello Stato estero.
In particolare, ai sensi della citata norma:
La detenzione di un bene immobile all'estero, in taluni casi, impone il rispetto di una serie di obblighi di natura dichiarativa, quali in particolare l'adempimento di obblighi in materia di monitoraggio fiscale di cui all'art. 4, D.L. 28 giugno 1990, n. 167.
Il principale adempimento riguarda la compilazione del quadro RW del modello di dichiarazione dei redditi, nel quale i soggetti residenti, a partire dal periodo di imposta 2009, sono tenuti a indicare il valore degli immobili siti all'estero, indipendentemente dalla effettiva produzione di redditi imponibili in Italia.
Ai sensi dell'art. 4, terzo comma, D.L. 28 giugno 1990, n. 167, gli obblighi di monitoraggio non trovano applicazione per gli immobili affidati in gestione o in amministrazione agli intermediari residenti e per i contratti comunque conclusi attraverso il loro intervento.
Al riguardo, l'Agenzia delle Entrate ha chiarito che, ai fini dell'esenzione occorre un mandato con un intermediario finanziario a tutti gli effetti ed eventualmente iscritto a un apposito Albo (Agenzia delle Entrate, risoluzione 31 maggio 2011, n. 61 e 8 marzo 2012, n. 23).
Gli immobili detenuti all'estero da persone fisiche sono soggetti a IVIE.
Si tratta di una imposta introdotta con la Legge n. 214/2011, che trova applicazione nei confronti di:
A partire dal periodo di imposta 2016, essa non si applica al possesso degli immobili adibiti ad abitazione principale (e per le relative pertinenze), e alla casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, che in Italia non risultano classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.
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