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Quando fu realizzata la prima casa in calcestruzzo armato, nel 1871-75, a Port Chester (New York) da parte di William E. Ward su progetto dell'architetto Robert Mook, non si conoscevano ancora gli effetti deleteri dell'inquinamento ambientale su tale materiale da costruzione.
Con l'incremento della produzione industriale e delle immissioni in atmosfera di componenti chimici fortemente aggressivi, si produce sulle opere realizzate in calcestruzzo armato una notevole azione di deterioramento, capace di ridurre la durata in condizioni di sicurezza delle strutture stesse.
Tra i componenti specifici, più aggressivi per le opere in calcestruzzo armato, l'anidride carbonica, presente nell'atmosfera in concentrazioni sempre più elevate, specialmente nei centri urbani, è il principale responsabile di un importante fenomeno di degrado delle calcestruzzo armato noto con il nome di carbonatazione.
L'anidride carbonica in atmosfera, in quantità normali, non rappresenta in se una minaccia per l'integrità delle opere in calcestruzzo armato realizzate a regola d'arte; quando, tuttavia, la sua quantità aumenta in maniera esponenziale a causa di fattori come l'inquinamento industriale, il traffico veicolare e altri eventi simili, i segni precoci di degrado strutturale si manifestano puntualmente.
La manifestazione di tale aggressione si concretizza comunemente attraverso l'ossidazione dei ferri di armatura e la conseguente espulsione del calcestruzzo superficiale di protezione degli stessi.
Tale processo altera l'ambiente basico del calcestruzzo favorevole alla conservazione delle armature metalliche, armature che in condizioni normali sono avvolte da un film protettivo che ne impedisce la corrosione.
Quando però l'anidride carbonica, attraverso i pori del calcestruzzo riesce a penetrarvi, si genera una riduzione del PH come conseguenza della carbonatazione, ossia, della trasformazione dell'idrossido di calcio in carbonato di calcio, il quale espone così le armature all'attacco degli aggressivi esterni.
Se all'interno del calcestruzzo non ci fosse alcuna armatura, il fenomeno di carbonatazione del calcestruzzo ne aumenterebbe la capacità portante, ma la presenza di armatura metallica non più protetta, arrugginendosi, determina un aumento di volume e una riduzione della sezione metallica resistente.
Tale aumento di volume è impedito dalla presenza del calcestruzzo circostante,che mette in tensione il calcestruzzo, provocandone la fessurazione e la successiva espulsione.
Chi non ha competenze specifiche in materia, è portato a pensare che il danno sia esclusivamente di natura estetica, ma in realtà esso è ben più grave e può ridurre la capacità portante della struttura interessata.
Tale indebolimento della struttura è conseguente alla riduzione delle sezioni dei due materiali che compongono il manufatto, in particolare le armature non più protette restano esposte alla continua aggressione dei cloruri, capaci di ridurre nel tempo anche in maniera notevole le sezioni dei ferri impiegati.
L'azione di indebolimento sopra descritta può essere ancora più incrementata da altri tipi di sollecitazioni concorrenti, come scuotimenti, sovraccarichi, esposizioni ad ambienti fortemente aggressivi, ecc. Il degrado del calcestruzzo è un fenomeno progressivo e inevitabile che rende necessari interventi di ripristino corticale per ricostruire le parti ammalorate, eliminare le fessurazioni e proteggere le strutture sottostanti dalla penetrazione di sostanze in grado di corrodere i ferri d'armatura.
A tal proposito, voglio sottolineare come sia necessario intervenire con la massima prudenza quando si demoliscono le parti ammalorate per ricostruirle con prodotti adeguati.
Infatti, le cronache relative a collassi strutturali avvenuti negli anni passati, hanno messo in evidenza l'estrema pericolosità conseguente a tali interventi, con particolare riguardo all'importanza del copriferro, essendo tale rivestimento tra le parti più vulnerabili di una struttura in calcestruzzo armato.
A titolo di esempio, voglio citare l'episodio avvenuto nel giugno 2001 nella città di Napoli, dove l'ala di un intero edificio è crollata a causa dei lavori di ripristino corticale dei pilastri portanti.
In tale circostanza, in cui solo per una fortunata circostanza non si sono avute vittime, è stato appurato nella perizia tecnica come la rimozione del copriferro ammalorato dai pilastri degradati, abbia provocato il crollo in questione.
Tale conclusione, è scaturita da attente e precise prove di laboratorio, con cui sono state messe a confronto le prestazioni di idonee campionature di pilastri asportati dai luoghi indagati, avendo cura di non perturbarne la consistenza.
In particolare, la perizia sottolinea come in zona sismica, il fenomeno risulta ancor più pericoloso in considerazione del fatto che già piccoli incrementi di carico verticale dovuti alle azioni sussultorie possono produrre effetti disastrosi su edifici i cui pilastri risultino, anche parzialmente, privati del copriferro.
I risultati ottenuti dalle prove citate, mettono in risalto l'importanza di intervenire sulle parti strutturali degradate, con metodo e competenza, adottando le precauzioni del caso in rapporto all'importanza che la parte strutturale riveste all'interno dell'intera struttura.
Infatti, ripristinare il frontino di un balcone in calcestruzzo armato, non comporta gli stessi rischi operativi del ripristino di un pilastro portante, come pure l'intervento puntuale, non può paragonarsi a una serie di interventi rivolti a ristrutturare una intera pilastrata.
Occorre pertanto tener presente che un pilastro interessato da un evidente fenomeno di carbonatazione perde parte della sua sezione resistente a causa del deterioramento delle armature ossidate.
Se poi si procede a rimuovere previo scalpellamento delle parti lesionate di calcestruzzo, si ottiene una nuova sezione resistente, non più adeguata a sopportare il carico si sua competenza.
Se a tale condizione si aggiungono altri tipi di sollecitazioni come scuotimenti, microsismi dovuti al traffico veicolare, o peggio ancora vere e proprie sollecitazioni sismiche, sicuramente si creano le condizioni favorevoli a provocare crolli improvvisi.
Da quanto esposto, si evince l'importanza di eseguire queste opere strutturali già nella loro iniziale realizzazione, mediante opportuni accorgimenti tali da scongiurare o quantomeno rallentare il degrado strutturale.
Ciò si può ottenere utilizzando calcestruzzi in classe di esposizione XC (1,2,3 o 4 a seconda dell'esposizione ai cicli di umidità e asciutto) di adeguata consistenza, posti in opera correttamente e stagionati adeguatamente, curando in maniera precisa il rapporto tra acqua e cemento.
Altro elemento importante, peraltro puntualmente normato, è lo spessore minimo di copriferro da eseguire, in funzione dalla Classe di esposizione, tenendo conto che in caso di contemporanea presenza di cloruri e di rischi di carbonatazione, occorre considerare la condizione più severa rappresentata, ossia i cloruri.
Per proteggere al meglio le armature metalliche è indispensabile posizionarle in maniera corretta oltre a impostare un adeguato spessore di copriferro e interferro, non minore di 3 cm.
Tali accorgimenti sono fortemente raccomandati, specialmente in quelle aree dove le fonti di inquinamento sono elevate e frequenti, tenendo presente che in ogni caso non è possibile evitare in assoluto il fenomeno della carbonatazione delle strutture in calcestruzzo armato, legato alla presenza sempre più rilevante di anidride carbonica nell'atmosfera.
Oltre a quanto sopra descritto, per mantenere a riparo dai fenomeni di carbonatazione le strutture in calcestruzzo armato, è utile l'impiego di pitture anticarbonatative in emulsione, nella versione standard del tipo PROTECH WAC e nella versione elasticizzata con polimeri fluorurati termoplastici (Teflon), del tipo PROTECH WAC-T, particolarmente adatta per strutture soggette a movimenti aciclici e/o ad assestamenti per dilatazioni termiche.
Questa tipologia di pitture protettive svolge un'azione importante di sbarramento superficiale, riducendo la possibilità di penetrazione dell'acqua e degli agenti aggressivi atmosferici, anidride carbonica compresa, all'interno del conglomerato.
Il trattamento con tali vernici può essere fatto sia sulle strutture di nuova costruzione, per mantenerle in efficienza per lungo tempo, sia sulle strutture riparate.
Per le strutture esistenti, interessate dal fenomeno di carbonatazione, prima di intervenire alla loro riparazione, è necessario verificare il grado di invasività del fenomeno, mediante opportune prove strumentali.
Fino a non molto tempo fa, tali verifiche venivano eseguite rivolgendosi a personale specializzato, affrontando spese anche rilevanti, che hanno scoraggiato molti nel procedere in modo adeguato, con la conseguenza di lasciare progredire il fenomeno di degrado o al massimo intervenendo in modo inadeguato alla soluzione del problema.
Attualmente sono in commercio diversi prodotti mediante i quali è possibile rilevare la presenza di carbonatazione, alcuni sono rappresentati da semplici contenitori spray a base di soluzioni contenente fenolftlina, con i quali spruzzare le parti interessate al fine di verificarne la presenza di carbonatazione.
In tutti i casi, i test capaci di rivelare il fenomeno di carbonatazione e la sua intensità sono costituiti fondamentalmente da soluzioni incolori liquide a base di fenolftlina da cospargere sul campione di calcestruzzo in esame.
La soluzione va applicata al campione di materiale estratto, attraverso una azione di carotaggio di facile esecuzione. Una volta applicata la sostanza liquida, possono manifestarsi due variazioni cromatiche: quando si è in presenza di calcestruzzo non interessato da carbonatazione daranno un colore rosa-magenta, mentre apparirà grigio in presenza di carbonatazione.
Tale indicazione permette di valutare la profondità della parte interessata, al fine di poter in seguito procedere alla sua rimozione per effettuare l'intervento di ripristino.
È importante sottolineare l'importanza di conoscere in modo preciso lo spessore della parte ammalorata: spesso si agisce senza un riferimento preciso, procedendo con rimozioni eccessive di calcestruzzo, le quali, oltre a incidere sui costi d'intervento, comportano anche dei rischi circa la stabilità della struttura interessata.
Per una diagnosi più precisa, risulta utile l'impiegodel Kit appositamente predisposto, denominato CARBONTEST, che stima la vita residua della struttura e pianifica gli eventuali interventi di manutenzione, in conformità alla Norma UNI 9944:1992 di riferimento.
L'innovazione di Carbontest è nel metodo di campionatura che prevede il prelievo della polvere durante una perforazione eseguita con un semplice trapano a percussione.
Questa sostanza viene raccolta all'interno di un dispositivo convogliatore, il Picker, ideato per ottimizzare il flusso di polvere, in modo più semplice e meno invasivo rispetto ai metodi tradizionali. L'analisi avviene sfruttando il viraggio chimico della fenolftaleina applicata al campione direttamente all'interno della provetta, dove, con diverse colorazioni vengono evidenziati gli eventuali spessori carbonatati.
Il kit CARBONTEST contiene tutto il necessario per eseguire 25 misurazioni, in modo rapido e semplice e qualora ci fosse bisogno di effettuare ulteriori prove è sempre possibile acquistare a parte le apposite ricariche.
Oltre al materiale per eseguire le prove, all'interno del Kit è presente un software denominato CARBONTEST Report, con il quale è possibile stimare grazie ai dati raccolti con le prove effettuate , la vita utile del manufatto .
L'importanza di valutare lo stato di degrado di una struttura aggredita da un fenomeno di carbonatazione è fondamentale per predisporre un adeguato piano di manutenzione delle strutture, oltre a garantire negli anni l'efficienza statica delle stesse.
Una piccola spesa iniziale diventa fondamentale per scongiurare nel tempo interventi sempre più invasivi e costosi, in tal modo è possibile programmare gli interventi più adatti al caso senza dover stravolgere intere parti strutturali.
I vantaggi dell'impiego del Kit in oggetto sono diversi, con esso è possibile eseguire una singola prova in pochi minuti, senza l'impiego di macchinari o personale specializzato.
Inoltre la misurazione permette di valutare la profondità del degrado, al fine di una valutazione circa la vita utile della struttura esaminata.
Il kit permette l'esecuzione di 25 prove con gli elementi in dotazione, in ogni caso è possibile acquistare a parte le apposite ricariche qualora occorre eseguire altre prove.
Per interventi più radicali da effettuare in profondità arrivando a interessare la parte di calcestruzzo retrostante le armature, si possono impiegare gli inibitori di corrosione, molto efficace si rivela CONSILEX NO-RUST della Azichem Srl
Questo potente inibitore di corrosione, non tossico, ha una composizione chimica particolare capace di penetrare all'interno delle strutture in calcestruzzo armato, depositando sulle parti metalliche delle sostanze protettive che ne inibiscono l'ossidazione.
Il prodotto va spruzzato normalmente sulle superfici da trattare in una sola mano quando i fenomeni di corrosione sono minimi, mentre è consigliabile una seconda applicazione quando il fenomeno ossidativo risulta già avanzato.
Il prodotto opportunamente applicato è capace di riportare la struttura alla sua giovinezza elettrochimica.
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