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È giusto pagare il canone per la depurazione dell'acqua senza che esista il relativo servizio?
La domanda, niente affatto nuova, ha ricevuto negli ultimi anni parecchie risposte tra cui, per ultima, la recente ordinanza n. 25112 del 2015 della Corte di Cassazione.
Detta ordinanza, allineandosi alla precedente giurisprudenza, ha dichiarato non dovute dette somme, ordinando, per conseguenza, al gestore del servizio idrico la restituzione delle dette somme.
Partiamo allora da un passato, non troppo lontano, per ricostruire l'attuale orientamento della giurisprudenza per cosaì comoprendere l'ultimo (per quanto a noi noto) provvedimento sul punto, cioè, appunto, la recente ordinanza n. 25112 del 2015.
E partiamo allora da un precedente d'eccezione, la sentenza della Corte Costituzionale n. 335 del 2008, la quale pose in materia un punto fermo: dichiarò cioè il difetto di legittimità costituzionale della norma di riferimento, cioè quella di cui all'art. 14, L. n.36 del 1994.
In particolare, detto articolo fu dichiarato non conforme alla Costituzione laddove prevedeva che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione fosse dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.
Del pari, fu dichiarato incostituzionale dalla stessa sentenza anche l'articolo che aveva sostituito il predetto art. 14, cioè l'art. 155, D.Lgs. n. 152 del 2006 (che aveva abrogato la L. n. 36 del 1994) in quanto sostanzialmente identico al primo, nella parte in cui prevedeva che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione fosse dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.
Senza dilungarci sul percorso logico-giuridico seguito dalla Corte, limitiamoci a dire che le ragioni che portarono a tale declaratoria di illegittimità muovevano dall'assunto che tale quota di tariffa fosse un corrispettivo di prestazioni contrattuali e non di tributo.
Come tale, essa non poteva essere richiesta, e dunque pagata, se non in caso in cui il servizio fosse stato effettivamente esercitato (per chiarezza, se invece si fosse trattato di tributo, esso si sarebbe dovuto pagare anche in assenza di effettivo servizio).
Detta sentenza a sua volta si riportava, tra l'altro, all'orientamento, che la Corte di Cassazione aveva espresso già più volte a Sezioni Unite, orientamento secondo cui, per dirla molto sinteticamente, dall'entrata in vigore del D.Lgs. n. 258 del 2000 (che all'art. 24 aveva sopresso il differimento dell'abrogazione della precedente disciplina e dunque il rinvio dell'entrata in vigore del sistema tariffario) si era passati dai canoni di depurazione come tributo ai canoni di depurazione come corrispettivo di diritto privato (ad es., tra tante, v. Cass., SS. UU. n. 6418 del 2005).
A detta declaratoria di incostituzionalità è seguita negli anni una serie di sentenze (di legittimità e di merito) che hanno stabilito che la quota di tariffa per la deuprazione non è dovuta in assenza del detto servizio.
Ad esempio, con la sentenza n. 8318 del 2011 la Corte di Cassazione ha dichiarato non dovuta la detta quota per assenza di servizio di depurazione del Comune di Milano con riferimento al periodo 4 ottobre - 31 dicembre 2000 (in questo caso, il Comune era stato vincitore nei precedenti gradi di giudizio).
Nello stesso senso, per quanto qui interessa, sostanzialmente ha deciso il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3920 del 2011.
Nello stesso senso ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14042 del 2013 emessa nei confronti dell'Acquedotto Pugliese per il periodo 03.10.2000/30.09.2002 a favore di un condominio situato nel Comune di Grottaglie (in provincia di Taranto).
In questo caso l'acquedotto era stato soccombente anche nei precedenti gradi di giudizio.
Qual è il periodo coinvolto?
Quello successivo al 3 ottobre 2000, per effetto, tra l'altro, delle decisioni, di cui alle Sezioni Unite e della Corte Costituzionale, di cui sopra.
In seguito alla detta declaratoria di incostituzionalità, la legge n. 13 del 2009 aveva poi previsto che le autorità d'ambito avrebbero dovuto individuare entro 120 giorni gli importi indebitamente percepiti a titolo di quota di tariffa non dovuta riferita all'esercizio del servizio di depurazione e da restituire agli utenti a cura dei gestori del servizio idrico integrato.
L'eventuale inottemperanza a tale obbligo non è però di ostacolo alla restituzione delle somme: cioè, l'utente può ben chiedere detta restituzione anche in caso di mancata individuazione dei detti importi.
Così, tra le altre, ha deciso proprio di recente la sentenza n. 25112 della Corte di Cassazione.
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