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Una delle più pubblicizzate e attese novità introdotte nel codice civile dalla legge n. 220 del 2012, la così detta riforma del condominio, è stata quella che ha imposto agli amministratori condominiali l'apertura e l'utilizzazione di un apposito conto corrente per ogni condominio amministrato.
Si badi: l'obbligo di apertura e utilizzazione del conto corrente condominiale riguarda gli amministratori – siano essi interni, cioè scelti tra i condòmini dello stabile, o esterni, dunque estranei al condominio, ma non anche quei condomini nei quali vige l'autogestione senza amministratore.
Accendere un conto corrente bancario o postale è molto semplice: all'amministratore basterà recarsi presso l'istituto prescelto, munito di delibera di nomina e procedere quindi all'apertura del conto.
La delibera potrebbe anche non essere domandata (fatto di per sé molto improbabile): essa in questi casi rappresenta quella giustificazione del potere di rappresentanza che il terzo può sempre domandare (art. 1393 del codice civile).
Molti istituti di credito, oltre alla delibera pretendono anche il documento rilasciato dall'Agenzia delle Entrate dal quale risulti l'abbinamento tra codice fiscale del condominio e la persona dell'amministratore: un modo per avvalorare la deliberazione di nomina.
Non è raro imbattersi in direttori di filiale che, in ragione delle direttive avute dall'istituto, chiedano oltre a questi documenti anche l'espressa deliberazione assembleare di scelta di quell'istituto di credito: ad avviso di chi scrive si tratta di una richiesta eccessiva e non fondata su alcun elemento normativo.
All'istituto di credito è sufficiente avere certezza che una persona sia effettivamente amministratore del condominio che dice di rappresentare e non anche che quel condominio abbia scelto quell'istituto. Tale scelta, infatti, potrebbe anche essere lasciata alla discrezionalità dell'amministratore e comunque trattandosi dell'adempimento di un obbligo di legge l'amministratore è titolato a operare anche senza espressa indicazione della banca con cui intrattenere il rapporto di conto corrente.
Differente dall'apertura è il discorso riguardante la chiusura del conto corrente condominiale: questa rappresenta la cessazione di un rapporto contrattuale che è imposto dalla legge e comunque vede soggetto deputato al prelievo di somme una persona che non è il loro titolare, quanto il legale rappresentante. A ciò si aggiunga che in dottrina e giurisprudenza è dubbia la facoltà in capo all'amministratore di disporre autonomamente dei rapporti contrattuali in essere.
S'è visto come sia l'amministratore a dover aprire il conto corrente condominiale: vediamo adesso chi deve tenere i rapporti con l'istituto di credito ed in che modo.
Rispetto alla banca c'è un unico soggetto legittimato a chiedere informazioni (leggasi rendicontazioni, ecc.) e ad effettuare operazione sul conto corrente (salvo espresse deroghe per i versamenti diretti): questa persona è l'amministratore di condominio.
D'altra parte sul punto non ammette dubbi il settimo comma dell'art. 1129 del codice civile che pur riconoscendo a ciascun condomino il diritto di chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica della banca, specifica che ciò possa avvenire solamente per il tramite dell'amministratore.
Così, se prima dell'entrata in vigore della legge n. 220 del 2012 l'arbitro bancario finanziario considerava legittima la richiesta rivolta direttamente dal condomino all'istituto di credito, in seguito tale orientamento è mutato, chiaramente in ragione delle nuove disposizioni legislative.
Come usare il conto corrente condominiale? Il succitato settimo comma specifica che l'amministratore deve far transitare dal conto qualunque somma ricevuta da condòmini o terzi (es. assicurazione) ed allo stesso modo qualunque somma erogata.
Sebbene una lettura suggestiva del comma in esame abbia portato impropriamente ad affermare che è stato bandito l'uso dei contanti, le cose non stanno propriamente in questo modo.
In sintesi:
a) entro le soglie di legge i condòmini possono versare all'amministratore le rate condominiali con denaro contante;
b) entro le soglie di legge l'amministratore può effettuare pagamenti per conto del condominio con denaro contante;
c) in ogni caso è necessario che il denaro incassato dall'amministratore, prima di essere speso, passi dal conto corrente condominiale.
La macchinosità della procedura prevista dalla legge porta a concludere che sarebbe stato meglio prevedere un obbligo diretto dei condòmini di versamento sul conto corrente, considerata l'elevata probabilità che l'amministratore abbia disponibilità di cassa, specie per le piccole spese (es. francobolli, raccomandate, ecc.) appare assurdo dover far transitare quei soldi prima dal conto corrente.
Accendere un conto corrente ha un costo: questo riguarda sia la semplice tenuta quanto le operazioni che si eseguono: chiedere la rendicontazione ha un costo, effettuare un bonifico ha un costo, ecc. ecc.
Chiaramente una buona scelta può essere fatta individuando l'istituto di credito che propone l'offerta più conveniente. Tuttavia, anche se si dovesse trovare una banca che offre un conto davvero a costo inesistente, c'è da considerare i costi fissi ineliminabili: parliamo dai bolli per la tenuta del conto. Si tratta, in sostanza, di tasse.
Come ripartire i costi di tenuta del conto corrente condominiale?
Il primo documento a cui bisogna guardare è il regolamento condominiale, che, se di natura contrattuale, potrebbe contenere delle disposizioni derogatorie rispetto al dettate legislativo: si tratta di quella diversa convenzione cui fa cenno l'inciso finale dell'art. 1123 c.c. e che potrebbe essere contenuta in qualsiasi altro documento purché accettato e sottoscritto da tutti i condòmini.
In assenza di indicazioni pattizie, la scelta deve ricadere sul criterio di ripartizione principe, ossia le spese di gestione del conto corrente dovranno essere ripartite secondo i millesimi di proprietà, potendosi riportare questa spesa nell'ambito di quelle per prestazioni di servizi resi nell'interesse comune (art. 1123, primo comma, c.c.).
Come ripartire, invece, gli interessi positivi e quelli negativi causati dal così detto scoperto di conto corrente?
Ad avviso di chi scrive nessuna differenza rispetto alle normali spese. Si potrebbe obiettare, rispetto alle spese per interessi negativi che esse debbano essere addebitate ai condòmini che ritardando i propri pagamenti le hanno causate.
A parte il fatto che non sempre è possibile addivenire con certezza all'individuazione di un ritardatario responsabile (lo scoperto potrebbe essere stato generato da meri sfasamenti tra saldo disponibile e contabile e con tutti i condòmini pienamente adempimenti), la giurisprudenza è orientata nel senso di non riconoscere potere di autotutela al condominio – salvo il caso, previsto per legge, delle così dette multe condominiali – e di conseguenza potrebbe essere considerata illegittima quella delibera che addebitasse i costi degli interessi per lo scoperto di conto corrente al condomino da essa stessa individuato come responsabile.
Qualora a contestare sia l'amministratore di condominio rispetto all'istituto di credito, le modalità sono quelle classiche e tradizionali, ossia bisogna effettuare – personalmente o per il tramite di un legale – una formale contestazione con lettera di diffida o di messa in mora a seconda del comportamento da censurare.
È utile ricordare che le controversie bancarie, nel caso in cui non si risolvessero bonariamente, sono soggette al tentativo obbligatorio di mediazione che in questi casi può essere esperito anche presso l'arbitro bancario finanziario.
In ogni caso per le ipotesi di procedimento di mediazione è necessario ottenere la deliberazione dell'assemblea a presenziare all'incontro fissato per il tentativo medesimo (cfr. art. 71-quater disp. att. c.c.).
Nel caso in cui, invece, la contestazione sia portata dal condomino verso un provvedimento dell'amministratore o una delibera dell'assemblea, la loro contestazione sarebbe ugualmente soggetta alle ordinarie regole d'impugnazione dei provvedimenti dell'amministratore (art. 1133 c.c.) o delle delibere (art. 1137 c.c.).
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