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L'appaltatore, a dirlo è l'art. 1655 c.c. che definisce il contratto di appalto, si obbliga, in cambio del corrispettivo, alla realizzazione dell'opera con gestione a proprio rischio.
Detta diversamente: i lavori commissionatigli devono essere realizzati a regola d'arte altrimenti può essere chiamato ai danni.
Questa responsabilità si spinge fino al punto di dover comprendere, anche sulla base delle proprie competenze, se gli ordini impartitigli sono errati e, nel caso, farlo notare.
In tal senso è stato affermato che l'appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest'ultimo (Cass. n. 8016/2012).
Vediamo che cosa accade se il committente si rende conto che l'opera è viziata e quando i limiti temporali imposti dalla legge debbono essere considerati ininfluenti.
L'art. 1667 c.c. recita:
L'appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell'opera. La garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l'opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o erano riconoscibili, purché, in questo caso, non siano stati in mala fede taciuti dall'appaltatore.
Il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all'appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta. La denunzia non è necessaria se l'appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati.
L'azione contro l'appaltatore si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell'opera. Il committente convenuto per il pagamento può sempre far valere la garanzia, purché le difformità o i vizi siano stati denunziati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna.
Innanzitutto, anche ai fini di delineare la differenza di questa norma dall'art. 1669 c.c. è utile comprendere che cosa debba intendersi per difformità e per vizi.
Secondo la definizione fornita dalla dottrina, per difformità deve intendersi una discordanza dell'opera dalle prescrizioni contrattuali, mentre i vizi sono la mancanza di modalità e qualità che, anche se non espressamente pattuiti, devono comunque considerarsi inerenti all'opera secondo le regole dell'arte e la normalità delle cose (così Caringella - De Marzo, Manuale di diritto civile – il contratto – Giuffrè, 2007).
È difforme dall'opera appaltata, ad esempio, quell'unità immobiliare in cui il bagno (o una qualunque altra stanza) ha una metratura sensibilmente inferiore rispetto a quella prevista nel progetto.
Quanto ai vizi si pensi ai pavimenti scheggiati, all'impianto idrico mal funzionante, ecc.
In casi del genere la legge è chiara: il committente deve segnalare il fatto all'appaltatore (tecnicamente denunciare, seppur non nell'accezione penalistica del termine) entro 60 giorni dalla scoperta.
Il termine è previsto a pena di decadenza; in buona sostanza se non si denuncia il vizio (o la difformità) nel termine stabilito, si perde la possibilità di vedere tutelati i propri diritti.
L'azione contro l'appaltatore per l'eliminazione dei vizi e delle difformità si estingue in due anni dalla consegna dell'immobile.
Non sempre, però, è necessaria la denunzia all'appaltatore; essa risulta superflua nel momento in cui quest'ultimo ha riconosciuto difformità e/o difetti.
A questo punto è lecito domandarsi: tale ammissione dev'essere espressa in modo particolare?
Secondo la giurisprudenza, no.
In particolare in una delle ultime sentenze sul punto la Cassazione ha avuto modo di ribadire che ai sensi dell'art. 1667 c.c., il riconoscimento dei vizi e delle difformità dell'opera da parte dell'appaltatore non deve accompagnarsi alla confessione giudiziale o stragiudiziale della sua responsabilità (Cass. 9-11- 2000 n. 14598; Cass. 24-11-2008 n. 27948), non richiede formule sacramentali e può, pertanto, manifestarsi per fatti concludenti (Cass. 14-7-1981 n. 4606), essendo in particolare sufficiente, affinché l'eccezione di decadenza del committente dalla garanzia per vizi possa ritenersi rinunciata e preclusa, che l'appaltatore abbia tenuto, nel corso del giudizio di primo grado, un comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi di detta decadenza (Cass. 9-3-1982 n. 1513) (Cass. 5 febbraio 2013 n. 2733).
Insomma sempre meglio avere il famoso pezzo di carta nel quale si riconoscono difformità o difetti ma se non c'è il committente può comunque provarli in qualunque modo al fine di respingere eventuali eccezioni di decadenza dall'azione di garanzia.
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