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Il contratto d'appalto, stando alla definizione fornita dal codice civile è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro (art. 1655 c.c.).
Quando si parla di appalto, il pensiero corre direttamente all'attività edilizia: in effetti questo schema contrattuale è molto usato con riferimento a questa fattispecie.
Contrattare la costruzione di un edificio o magari la sua ristrutturazione, comporta una serie di obblighi e responsabilità da entrambe le parti; tra queste v'è sicuramente la responsabilità prevista dall'art. 1669 c.c., rubricato Rovina e difetti di cose immobili, che recita:
Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta.
Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia.
Per comprendere che cosa debba intendersi per gravi difetti è indispensabile fare riferimento alle pronunce giurisprudenziali che se ne sono occupate.
In una delle ultime sentenze reperibili in materia, che ha il pregio di riepilogare alcune fattispecie annoverabili in tale concetto, si afferma che i gravi difetti che danno luogo a responsabilità del costruttore nei confronti dell'acquirente ex art. 1669 c.c. sono ravvisabili non solo nell'ipotesi di rovina o di pericolo di rovina dell'immobile, ma anche in presenza di fatti che, senza influire sulla stabilità, pregiudichino in modo grave la funzione cui l'immobile è destinato e dunque la godibilità e la fruibilità dello stesso sotto l'aspetto abitativo, come quando la realizzazione è avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d'arte e anche incidenti su elementi secondari e accessori dell'opera (quali impermeabilizzazione, rivestimenti, infissi, pavimentazione, impianti) purché tali da compromettere la sua funzionalità e l'abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione (App. Roma, 3 maggio 2011, n. 2002; Cass. civ., 28 aprile 2004, n. 8140; 29 aprile 2008, n. 10857).
La Corte ha, in particolare, riconosciuto la natura di vizi ex art. 1669 c.c., nel caso di fessurazioni e crepe nella pavimentazione (Cass. civ., 29 aprile 2008, n. 10857), distacco di intonaco (Trib. Savona, 3 luglio 2004; Cass. civ., 10 aprile 1996, n. 3301), manifestazione di efflorescenze ed infiltrazioni (Trib. Cagliari, 14 novembre 2006, n. 2786; Cass. civ., 4 novembre 2005, n. 21351) (Trib. Legnano 17 luglio 2012).
Poiché la legge non dice nulla in merito è utile guardare, anche in questo caso, alle indicazioni fornite dalla giurisprudenza.
Secondo la Cassazione non è necessaria una denuncia specifica ed analitica delle difformità e dei vizi dell'opera, che consenta di individuare ogni anomalia di questa, essendo sufficiente ad impedire la decadenza del committente dalla garanzia cui è tenuto l'appaltatore una indicazione sia pure sintetica, ben suscettibile di conservare l'azione di garanzia anche per quei difetti che sia possibile accertare nella loro reale sussistenza solo in un momento successivo (cfr., in tal senso, Cass. Sez. I civ., sent. n. 1549 del 17.VI.1964, id. Sez. II civ., sent. n. 360 del 10.11.1972, id., sent. n. 6479 del 7.XII.1981: valendo la pena di evidenziare soltanto che tale orientamento giurisprudenziale trova conforto nella più autorevole, e condivisibile, dottrina, per la quale integra denuncia valida ai fini di cui trattasi qualunque semplice comunicazione generica di vizi non meglio identificati) (Cass. 23 gennaio 1999 n. 644).
Per dottrina e giurisprudenza è sufficiente anche la comunicazione orale dei difetti.
Quanto alla sua funzione, sempre gli ermellini, hanno avuto modo di chiarire, laddove vi fossero dei dubbi, che la denunzia ha lo scopo, non diversamente da quella prevista dal precedente art. 1667, di porre il destinatario (appaltatore o soggetti concorrenti, quali il progettista ed il direttore dei lavori), nella condizione di compiere le opportune verifiche al fine di accertare e dimostrare che il pericolo di rovina non deriva da sua colpa (Cass. 15 novembre 2012 n 20004).
L'art. 1669 c.c. parla di specifici tempi per la presentazione della denuncia, concludendo che diversamente il committente deve considerarsi decaduto dal diritto d'agire ai sensi dell'art. 1669 c.c.
La Corte di Cassazione, sempre con la sentenza citata per ultima, ha avuto modo di ribadire tale concetto specificando che per il proprietario dell'opera l'onere di denunzia scatta, pertanto, nel momento in cui egli acquista un ragionevole grado di grado di conoscenza dell'entità del vizio costruttivo e della sua riferibilità causale, elementi che, ai fini della configurabilità della denunzia, deve rappresentare al destinatario (Cass. n. 4622 del 2002; Cass. n. 1993 del 1999), restando poi alla valutazione del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità, scrutinare se tale informativa era sufficiente a portare a conoscenza dell'altra parte la sussistenza dei difetti lamentati.
La denunzia, in relazione al suo scopo, si perfeziona in virtù della comunicazione al soggetto responsabile dei gravi difetti che si sono manifestati nella costruzione, senza necessità che in essa vengano indicate le sue cause specifiche, il cui addebito implicito alla controparte risiede nella stessa natura di obbligazione di risultato che questi ha assunto, e il cui accertamento tecnico in termini di certezza risulta incompatibile con la stessa esigenza perseguita dalla legge attraverso gli istituti della decadenza e della prescrizione, di consentire all'appaltatore di compiere gli accertamenti necessari per verificare l'esistenza effettiva dei difetti lamentati e la loro imputabilità (Cass. 15 novembre 2012 n 20004).
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