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Tizio commissione all'impresa Alfa la realizzazione di un'abitazione su un terreno di sua proprietà.
Sempronio affida all'impresa Beta il compito di ristrutturare alcuni vani della sua unità immobiliare.
Il condominio Gamma appalta all'impresa Delta il rifacimento dell'intera facciata dell'edificio.
Si tratta, è evidente, di esempi classici di contratto d'appalto; questo, ai sensi dell'art. 1655 c.c. è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.
Terminati i lavori l'opera dev'essere consegnata al legittimo proprietario: dal punto di vista giuridico intercorre una notevole differenza tra consegna ed accettazione dell'opera.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione, resa nel solco dei precedenti pronunciamenti in materia, ci aiuta a comprenderla.
L'art. 1655 c.c. citato in principio parla chiaro: l'appaltatore s'impegna a realizzare l'opera con gestione a proprio rischio.
È lui, quindi, salvo ingerenze del committente o impossibilità di contravvenire agli ordini (errati) del direttore dei lavori (in tal caso a sua volta responsabile) che risponde della cattiva esecuzione delle opere.
In tal senso, di recente, i giudici di piazza Cavour hanno ribadito che in tema di appalto ed in ipotesi di responsabilità per vizi dell'opera, l'appaltatore, anche quando sia chiamato a realizzare un progetto altrui, è sempre tenuto a rispettare le regole dell'arte ed è soggetto a responsabilità anche in caso di ingerenza del committente, con la conseguenza che la responsabilità dell'appaltatore, con il derivante obbligo risarcitorio, non viene meno neppure in caso di eventuali vizi imputabili ad errori di progettazione o direzione dei lavori se egli, accortosi del vizio, non lo abbia tempestivamente denunziato al committente manifestando formalmente il proprio dissenso, ovvero non abbia rilevato i vizi pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla perizia ed alla capacità tecnica da lui esigibili nel caso concreto (Cass. 21 giugno 2013, n. 15711).
Al termine dei lavori, com'è normale che sia e come si diceva in principio, l'appaltatore consegna al committente ciò che gli era stato commissionato, per restare agli esempi iniziali, la nuova costruzione, le stanze ristrutturate, la facciata mantenuta.
Il momento della consegna, dal punto di vista giuridico è particolarmente delicato: se ad esso, infatti, si accompagna, espressamente o tacitamente l'accettazione dell'opera, il committente, salvo che si tratti di vizi occulti o che si palesano successivamente, non può più contestare eventuali difformità già presenti in quel momento.
Proprio per questo distinguere la mera consegna dell'opera dalla consegna con accettazione è questione di fondamentale importanza.
La Suprema Corte, proprio nella sentenza succitata, ha avuto modo di rimarcare questa distinzione affermando che la presa in consegna dell'opera, in tema di appalto, da parte del committente non va confusa con l'accettazione della stessa e non implica, di per sé, la rinunzia a far valere la garanzia per i difetti conosciuti o conoscibili quando sia seguita dalla denunzia delle difformità e dei vizi dell'opera.
In modo più incisivo si è puntualizzato che, in materia di appalto, l'art. 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell'opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell'accettazione da parte del committente e, in particolare, al quarto comma prevede come presupposto dell'accettazione (da qualificare come tacita) la consegna dell'opera al committente (alla quale è parificabile l'immissione nel possesso) e come fatto concludente la ricezione senza riserve da parte di quest'ultimo anche se non si sia proceduto alla verifica.
In questo contesto, affermano gli ermellini rimarcando la differenza tra i due atti, la consegna costituisce un atto puramente materiale che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente, mentre l'accettazione esige, al contrario, che il committente esprima (anche per facta concludentia) il gradimento dell'opera stessa […], con conseguente manifestazione negoziale la quale comporta effetti ben determinati, quali l'esonero dell'appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità dell'opera ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo (Cass. 21 giugno 2013, n. 15711).
Molto, in tal senso, può essere fatto dal contenuto del verbale delle operazioni che hanno portato alla consegna materiale dell'opera.
Nei casi dubbi che non sono risolti dalle parti, è il giudice a dover valutare il contenuto del succitato verbale.
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