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Antenna analogica terrestre (classica), digitale terrestre, impianto satellitare.
Sono questi i tre tipi d'antenna per la ricezione del segnale radiotelevisivo.
Partiamo dall'antenna classica: quali sono le condizioni affinché questa possA considerarsi condominiale?
Se l'antenna esiste fin dalla costruzione dell'edificio, sarà di proprietà di tutti; prima dell'entrata in vigore della riforma del condominio, pur non essendo espressamente menzionati nel codice, l'antenna e in generale l'impianto radiotelevisivo, erano considerati parti comuni tra quelle genericamente indicate dall'art. 1117 n. 3 c.c. (Cass. 11 gennaio 2012 n. 144).
Le spese per la manutenzione e conservazione di questi impianti devono essere ripartite tra tutti i condomini, salvo diverso accordo, in base ai millesimi di proprietà.
La legge n. 220/2012 (la così detta riforma) ha tolto ogni dubbio inserendo nell'art. 1117 n. 3 c.c. uno specifico riferimento a tali impianti.
In considerazione di ciò devono considerarsi comuni gli impianti per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza.
Se l'antenna viene installata successivamente?
In tal caso, ad avviso di chi scrive, la proprietà sarà di tutti condomini; la delibera è regolarmente assuntacon le maggioranze previste per le innovazioni di cui al secondo comma dell'art. 1120 c.c. (vedi più avanti).
Nel caso di innovazioni gravose o voluttuarie, la proprietà sarà di quelli che votandola non si siano dichiarati contrari e degli assenti che non si siano espressi successivamente (art. 1121 c.c.).
Il condomino può decidere autonomamente, indipendentemente dalla presenza di un impianto condominiale, d'installare una propria antenna?
Il codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs n. 259/03) tutela il così detto diritto d'antenna; ciò significa che tutti i condomini hanno il diritto d'installare nella propria abitazione (es. sul balcone) o nelle parti di proprietà comune (es. lastrico solare) un'antenna autonoma purchè ciò non crei danni alle parti comuni ed agli altri.
Tale orientamento è attualmente (grazie alla così detta riforma del condominio) contenuto in una specifica disposizione di legge.
Recita il primo comma dell'art. 1122-bis c.c:
Le installazioni di impianti non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione per le singole utenze sono realizzati in modo da recare il minor pregiudizio alle parti comuni e alle unità immobiliari di proprietà individuale, preservando in ogni caso il decoro architettonico dell'edificio, salvo quanto previsto in materia di reti pubbliche.
Lo stesso articolo specifica che per questo genere d'impianti l'assemblea può prescrivere (con le maggioranze previste per le innovazioni) degli accorgimenti utili ad evitare lesioni del decoro e per salvaguardare in ogni caso le cose comuni (art. 1122-bis, terzo comma, c.c.).
Ad ogni buon conto, specifica l'ultimo comma del medesimo articolo, tali impianti non sono soggetti ad autorizzazioni ed i condomini devono consentire l'accesso alle loro unità immobiliari per consentirne la realizzazione (cfr. art. 1122-bis, quarto comma, c.c.).
In ogni caso, il condomino che decida d'installare un'antenna personale non potrà non contribuire alle spese di conservazione di quella comune (art. 1118 c.c.).
L'evoluzione tecnologica ha portato alla diffusione di strumenti di ricezione che fino a qualche decennio fa non esistevano o non erano di largo consumo. Il riferimento è all'antenna parabolica ed al segnale digitale terrestre.
Fermo restando che ognuno, anche per queste fattispecie, può decidere d'agire autonomamente, che cosa bisogna fare, invece, se si vuole affrontare la questione a livello condominiale?
La risposta è differente a seconda dell'oggetto della domanda.
Iniziamo dalle antenne paraboliche. Se ne occupa esplicitamente l'art. 1120, secondo comma n. 3 c.c., a mente del quale sono da considerarsi innovazioni deliberabili con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti ed almeno 500 millesimi, quelle relative all'installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze […].
Per quanto riguarda il così detto digitale terrestre, la situazione è ancora meno chiara; specifichiamo che ci riferiamo all'aggiornamento di impianti già esistenti poiché per l'installazione ex novo vale quanto detto fin'ora.
La soluzione migliore pare essere quella proposta dalla giurisprudenza allorquando, alla fine degli anni Settanta, in molti condomini si dovettero cambiare le antenne per permettere la ricezione delle trasmissioni a colori.
In quel caso, si disse, che era sufficiente la maggioranza semplice (ossia in seconda convocazione 1/3 dei partecipanti al condominio e 333 millesimi, oggi maggioranza dei presenti e 333 millesimi, cfr. art. 1136, terzo comma, c.c.) poiché si trattava d'intervento di ammodernamento di una parte comune e non d'innovazione.
L'assemblea di condominio può decidere di non far riparare l'antenna condominiale che necessita d'interventi conservativi?
Alla domanda, in sostanza, ha risposto la Cassazione in una causa che è stata decisa con la sentenza n. 144 del 12 gennaio 2012. La pronuncia, come si suole dire, è l'unica nota in tal senso in materia di antenne condominiali, ma vale comunque la pena dar conto del ragionamento degli ermellini.
In quel caso l'assemblea aveva deciso di non installare e di non adeguare l'antenna centralizzata.
Da questa decisione è partito un contenzioso giudiziario che, come detto, è arrivato fino alla Corte di legittimità.
Secondo gli ermellini l'antenna centralizzata per la ricezione di canali televisivi pur essendo cosa comune ai sensi dell'art. 1117, n.3 c.c., non costituisce ex se bene comune, se non in quanto idonea a soddisfare l'interesse dei condomini a fruire del relativo servizio condominiale.
La volontà collettiva, regolarmente espressa in assemblea, volta ad escludere siffatto uso, non si pone, pertanto, come contraria al diritto dei singoli condomini sul bene comune, perché quest'ultimo è tale finché assolva, a beneficio di tutti i partecipanti, la sua funzione; e questa, a sua volta, rientra nella signoria dell'assemblea, la quale come può attuarla istituendo il relativo servizio comune, così può sopprimerla con l'unico limite di non incidere sulle proprietà esclusive, cioè sulle parti dell'impianto di proprietà individuale (Cass. 12 gennaio 2012 n. 144).
Nel caso sottoposto al suo esame, conclude la Corte, non si è trattato di impedire il godimento individuale di un bene comune, ma di non dar luogo ad un servizio la cui attivazione o prosecuzione non può essere imposta dal singolo partecipante per il solo fatto di essere comproprietario delle cose che ne costituiscono l'impianto materiale (Cass. 12 gennaio 2012 n. 144).
L'antenna, come qualunque altro bene comune, necessita d'interventi manutentivi connessi all'uso o comunque di opere necessarie per mantenerne il corretto funzionamento in relazione all'evoluzione tecnologica.
In entrambi i casi, in assenza di patto contrario, le spese devono essere ripartite tra i condòmini in base ai millesimi di proprietà (art. 1123, primo comma, c.c.).
Che cosa accade, invece, nel caso di spese sull'impianto effettuate direttamente e senza nessun preavviso dal singolo condomino?
Il caso è ricorrente in quei condominii nie quali, formalmente, non si è costituita la compagine (es. perché non è obbligatoria la nomina dell'amministratore) o più semplicemente perché il singolo comproprietario ha deciso d'agire di propria iniziativa.
Al riguardo la norma di riferimento è l'art. 1134 c.c. che le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (cfr. sent. n. 2046/06) hanno ritenuto applicabile anche al così detto condominio minimo (quello con due soli partecipanti).
A mente di tale disposizione il condomino che ha sostenuta delle spese per le cose comuni senza autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente; spetta a chi ha effettuato la spesa dimostrarne l'urgenza, ossia fornire prova che v'era la necessità di effettuare la spese in questione senza ritardo e, quindi, senza poter avvertire in tempo utile l'amministratore e gli altri condomini.
A tal fine va considerata urgente la spesa la cui erogazione non può essere differita senza danno o pericolo, fino a quando l'amministratore o l'assemblea dei condomini possano utilmente provvedere (così Trib. Bologna 11 marzo 2010 n. 670). Una valutazione da effettuare, sostanzialmente, caso per caso.
Come devono comportarsi i condomini e l'amministratore che non riconoscono tale urgenza?
La soluzione al quesito è immediata: potranno rifiutare di pagare la loro quota parte specificando che il costo non rientra tra quelli rimborsabili ai sensi dell'art. 1134 c.c.
Spetterà al comproprietario che ha effettuato la spesa dimostrare, eventualmente anche in giudizio, il contrario, vale a dire l'urgenza e la necessità che l'hanno portato ad agire in quel modo.
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