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Per amministratore interno, per esteso amministratore di condominio interno, s'intende che la persona incaricata di svolgere il ruolo è scelto tra uno dei condòmini.
Per condòmini si intendono i proprietari delle unità immobiliari facenti parte dell'edificio o più ampiamente del complesso edilizio. Ciò vuol dire che sebbene possa apparire tale, nel senso proprio della locuzione amministratore interno non è considerabile tale, ad esempio, il conduttore di una delle abitazioni presenti nel palazzo.
L'amministratore di condominio interno, al pari di ogni altro amministratore di condominio è equiparabile a un mandatario della compagine, ossia ad una persona che assume l'incarico di porre in essere uno o più atti giuridici per conto del mandante.
Da tale considerazione possiamo trarre due conclusioni:
- al pari di ogni altro amministratore esterno al gruppo dei condòmini, l'amministratore interno deve essere votato dall'assemblea con le stesse maggioranze previste per la nomina di un qualunque amministratore, ossia tanto in prima, quanto in seconda convocazione con il voto favorevole della maggioranza dei presenti alla riunione che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio;
- l'amministratore interno dura in carica un anno, può essere revocato in qualunque momento e per gravi irregolarità anche dall'Autorità Giudiziaria e come per l'amministratore esterno, dopo la prima nomina, in mancanza di revoca, prosegue automaticamente nell'incarico per un periodo di uguale durata.
La differenza sostanziale e profonda tra amministratore interno e mandatario esterno non è quella inerente alla qualità di condòmino, ma riguarda il requisiti che il secondo deve possedere, o se si vuole che l'amministratore interno non deve avere.
È utile guardare alla lettera della legge per chiarire il senso di questa affermazione.
Il riferimento normativo è rappresentato dall'art. 71 bis delle disposizioni di attuazione del codice civile.
Questo specifica due tipologie di requisiti che devono essere posseduti da chi vuol assumere incarichi di amministratore condominiale. Si tratta di requisiti detti di onorabilità e professionalità.
Questi requisiti devono essere posseduti al momento dell'assunzione dell'incarico, nonché mantenuti durante il suo svolgimento, pena l'automatica caducazione del rapporto contrattuale.
È sempre l'art. 71-bis disp. att. c.c. a sottolinearlo.
Quanto ai requisiti di professionalità e più generalmente culturali e professionali, secondo la legge chi vuole assumere l'incarico di amministratore condominiale deve:
- essere in possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado;
- deve aver frequentato un corso di formazione iniziale e svolgere attività di formazione periodica in materia di amministrazione condominiale.
Guardando all'amministratore interno, le eccezioni poste dalla legge riguardano proprio questi ultimi due requisiti.
In tal senso, infatti, il secondo comma dell'art. 71-bis delle disposizioni di attuazione del codice civile specifica che questi ultimi due requisiti non sono necessari qualora l'amministratore sia nominato tra i condomini dello stabile.
Il cosiddetto amministratore interno, quindi, dev'essere probo e onesto, ma non necessariamente acculturato e formato per quell'attività. C'è chi dice che in questo modo è salvaguardato il diritto alla gestione diretta della proprietà. Dubito, mi si permetta, della bontà di questa conclusione, posto che alle volte la corretta tutela del diritto necessita di un sapere tecnico specialistico che non possediamo.
Una volta assunto l'incarico, al di là della mancanza dei requisiti di professionalità, l'amministratore interno è tenuto a eseguire le medesime incombenze del suo collega estraneo al gruppo dei condòmini e risponde per i medesimi inadempimenti.
Nessuna deroga o eccezione di competenza: l'amministratore interno deve conoscere la materia e saper fare quanto richiesto dalla legge come se fosse un amministratore professionista.
Al massimo, dove l'incarico sia svolto in maniera gratuita, la responsabilità potrà essere valutata con minore rigore. Ciò, tuttavia, non vuol dire esonero da responsabilità.
Come qualunque amministratore, anche l'amministratore interno può essere revocato dal proprio incarico.
Alla revoca può unirsi, o meglio può seguire in quanto non contestuale nella sede giudiziaria, un'azione di responsabilità civile contrattuale per il danno derivante dagli inadempimenti nell'assolvimento del proprio incarico (inadempimenti che possono anche assumere la veste di inesatti adempimenti).
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