Prima dell'entrata in vigore della riforma non era certo se la conferma dell'amministrarore fosse atto diverso dalla nomina. La legge n. 220 ha spazzato via i dubbi.
Nomina dell'amministratore
Ogni condominio con più di otto partecipanti deve nominare un amministratore. Tenendo presente che per partecipante al condominio deve intendersi il proprietario dell'unità immobiliare sita nello stabile, è possibile affermare che in ogni edificio con almeno nove distinti proprietari è obbligatoria la presenza di un amministratore.
La competenza a scegliere il professionista è dell'assemblea di condominio.
Per la nomina si deve raggiungere (sia in prima che in seconda convocazione) un quorum di almeno 500 millesimi rappresentato dalla maggioranza degli intervenuti all'assemblea (artt. 1129 e 1136 c.c.).
Nei casi in cui la nomina è obbligatoria, se l'assemblea non vi provvede, ogni condomino può fare ricorso all'Autorità Giudiziaria affinché la stessa provveda, in sostituzione dell'assise, alla nomina dell'amministratore.
Si tratta del c.d. amministratore giudiziale, figura in tutto e per tutto identica all'amministratore nominato dall'assemblea. Poiché si tratta di un ricorso così detto di volontaria giurisdizione, alcune sentenze hanno evidenziato che lo stesso possa essere proposto senza l'ausilio di un legale (Trib. Ariano Irpino 13 dicembre 2006).
Qualunque sia il modo con cui si giunge alla nomina dell'amministratore al termine dell'anno di gestione, il professionista vedrà rinnovato tacitamente il suo mandato se l'assemblea non decide di revocarlo.
Conferma tacita dell'amministratore
A disporre in tal senso è il primo periodo del decimo comma dell'art. 1129 c.c. a mente del quale l'incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata.
Si tratta di una norma che, introdotta nel codice civile dalla riforma del condominio, ha cambiato il senso del riferimento alla così detta conferma e con ciò ha spazzato via le incertezze in merito ai quorum deliberativi necessari per deliberarla.
Vediamo perché.
In passato, ossia prima dell'entrata in vigore della legge n. 220/2012, al termine del primo anno di gestione l'amministratore doveva convocare l'assemblea affinchè la stessa, oltre all'approvazione del rendiconto consuntivo e di quello preventivo, si pronunciasse sulla prosecuzione del rapporto. Ai sensi dell'art. 1135 c.c., infatti, l'assemblea doveva provvedere alla conferma o alla revoca (con conseguente nuova nomina, n.d.A.) dell'amministratore.
In questo contesto ci si domandava: qualora l'assemblea dei condomini optasse per confermare l'amministratore uscente, quali dovevano essere i quorum deliberativi per decidere ciò?
In sostanza, ci si chiedeva: nomina e conferma dovevano essere considerate la stessa cosa o si differenziavano per qualche motivo? Secondo alcuni studiosi di diritto condominiale, la nomina e la conferma sono degli atti giuridicamente distinti.
Ciò aveva come diretta ed immediata conseguenza una differenziazione delle maggioranze necessarie per l'adozione di tali decisioni. A sostegno di questa teoria, si indicava il fatto che l'art. 1136, quarto comma, c.c. in relazione alla maggioranza necessaria per la validità delle deliberazioni indica espressamente la nomina e non la conferma.
In definitiva secondo quest'impostazione per la prima sono sempre necessari 500 millesimi e la maggioranza degli intervenuti all'assemblea. Per la validità delle deliberazione di conferma, invece, nel silenzio della legge, in seconda convocazione, sarebbero stati sufficienti 1/3 dei millesimi e 1/3 dei partecipanti al condominio. Infatti, l'art. 1136, terzo comma, c.c. dice che in seconda convocazione la deliberazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio. In pratica senza l'indicazione di una maggioranza ad hoc, per la conferma vale la regola generale dettata per la validità delle deliberazioni in seconda convocazione. Indubbiamente un abbassamento del quorum che facilita l'adozione di tale atto.
Non era dello stesso avviso l'orientamento maggioritario sviluppatosi in seno alla Corte di Cassazione, secondo il quale come ripetutamente affermato […] (v. Cass. 3797-78; 71-80 ecc.), non solo in caso di nomina o revoca dell'amministratore, ma anche in quello di conferma è necessaria la maggioranza di cui all'art. 1136 4 c.c., trattandosi di delibere che hanno contenuto ed effetti giuridici uguali (così Cass. 4 maggio 1994, n. 4269).
Per quanto – com'è per prassi e vista la funzione c.d. nomofilattica della Corte, ossia la funzione di assicurare l'uniforme interpretazione del diritto – gli orientamenti interpretativi della Cassazione abbiano un peso specifico non trascurabile sulle decisioni successive dei tribunali nonché sulle decisioni future della stessa Corte, l'obiettiva situazione d'incertezza dovuta alla effettiva assenza del termine conferma accanto a quello nomina nelle disposizioni relative ai quorum ha lasciato spazio a contrasti interpretativi.
I contrasti, si diceva, sono stati eliminati a seguito dell'entrata in vigore della riforma.
La legge, infatti, attualmente se da un lato conferma che l'incarico ha durata annuale, dall'altro specifica che esso deve considerarsi prolungato per un altro anno se non viene disposta la revoca.
Siccome non esiste una disposizione di legge che imponga all'amministratore di inserire nell'ordine del giorno dell'assemblea annuale la decisione sulla sua revoca, deve ritenersi che alla scadenza del primo anno di mandato, se non interviene formale richiesta dei condomini di un'assemblea per la revoca, l'amministratore deve ritenersi confermato per un altro anno.
Al termine di questo, sostanziale, biennio, l'amministratore deve considerarsi cessato ex lege dall'incarico e quindi tenuto (nell'esercizio delle sue funzioni in prorogatio) a convocare l'assemblea per la nomina di un nuovo amministratore (nuovo amministratore che può essere sempre lui).