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Quella della durata dell'incarico dell'amministratore è una questione dai notevoli risvolti pratici, soprattutto quando i rapporti tra amministratore e condòmini si inaspriscono e matura in questi ultimi l'idea di cambiare amministratore.
Quanto dura l'incarico? Deve o può essere rinnovato? In caso affermativo, può essere rinnovato a tempo indeterminato? Bisogna convocare l'assemblea per l'eventuale proroga? La riforma del condominio apportata dalla L. n. 220/2012 ha generato qualche novità? Cosa può contestare il condomino?
Effettivamente la riforma del 2012 ha apportato delle modifiche in materia.
Dunque, per avere una visione più completa e chiara della questione, iniziamo dando un accenno alla precedente normativa.
Ebbene, l'art. 1129, co. 2, c.c. disponeva che l'incarico durava un anno e poteva essere sempre revocato dall'assemblea (in ogni tempo).
Al di là delle questioni controverse che detta norma portava, non v'era dubbio che allo scadere dell'anno l'incarico doveva essere riassegnato oppure no, salva la possibilità di revoca in ogni tempo.
Insomma, allo scadere dell'anno l'assemblea si doveva esprimere in qualche modo.
Finchè ciò non accadeva, l'amministratore continuava ad amministrare in regime di prorogatio con la possibilità, comunque, per ogni condomino di chiedere la nomina giudiziale in caso di inerzia dell'assemblea, chiamata a esprimersi sull'incarico.
In seguito alla riforma del 2012 lo stesso articolo, al comma 10, oggi testualmente recita che l'incarico di amministratore dura un anno e si intende rinnovato per la stessa durata.
L'assemblea convocata per la revoca o le dimissioni delibera in ordine alla nomina del nuovo amministratore.
La nuova versione della norma sostanzialmente sembra allungare la possibilità della durata dell'incarico sino a due anni.
Non è ben chiaro quale possa essere l'utilità perseguita dalla norma se non quella di conferire stabilità ai rapporti e alla gestione del condominio, lasciando però la possibilità ai condòmini di bloccare il tutto al primo anno, esprimendo il dissenso al rinnovo.
A volere essere precisi, non è esattamente la durata che cambia, ma ciò che è possibile fare allo scadere dell'anno.
Ovviando così alle ambiguità create dalla soluzione dell'amministrazione in prorogatio (ad es., i dubbi su quali poteri poteva esercitare l'amministratore in regime di prorogatio).
Salva sempre, ovviamente, la possibilità di revoca in ogni tempo (v. art. 1129, co. 11, c.c.).
Insomma, allo scadere dell'anno va convocata un'assemblea ed è necessario indicare nell'ordine del giorno il rinnovo dell'incarico, oppure no?
Vi è un rapporto tra le norme sulla durata dell'incarico e quelle relative alla revoca per gravi irregolarità?
Dunque, il mancato rispetto delle norme sulla durata dell'incarico potrebbe integrare un'ipotesi di grave irregolarità (con conseguente possibilità di revoca)?
La norma di cui all'art. 1129 c.c., co. 11, nel prevedere che la revoca dell'autorità giudiziaria possa essere disposta (anche) se vi sono gravi irregolarità, non ha però specificato (se non in via esemplificativa al successivo co.12) cosa dobbiamo intendere per gravi irregolarità, lasciando spazio alle decisioni giurisprudenziali.
Sul punto, proprio di recente è stato stabilito che non costituisce ipotesi di grave irregolarità la mancata indicazione dell'ordine del giorno nella convocazione dell'assemblea allo scadere del primo anno.
Secondo i giudici milanesi, non è necessario indicare alcunché all'ordine del giorno, con la motivazione che la riforma prevede la durata di un anno dell'incarico, tacitamente prorogabile per un altro anno salvo delibera di revoca assunta dall'assemblea medesima (Trib. Milano, decr. del 7 ottobre 2015).
La decisione raccoglie una prospettazione diffusa tra gli interpreti, secondo cui non è obbligatorio prevedere la discussione della revoca, se non su espressa richiesta dei condòmini; ciò, esattamente come prima (l'art. 1135 c.c., infatti, indicando gli argomenti da portare in discussione nell'assemblea ordinaria annuale non fa riferimento alla revoca), ma con la differenza che, in luogo del regime di prorogatio, ora il codice attribuisce pieni poteri all'amministratore finchè l'assemblea non si esprime.
Ad altri esiti perviene un opposto orientamento, secondo il quale invece l'assemblea non può limitarsi a prendere atto della volontà dell'amministratore di volere rimanere in carica.
E ciò sostanzialmente sulla base del principio per cui unico organo decisionale è l'assemblea del condominio, la quale non può semplicemente subire le comunicazioni e le decisioni dell'amministratore.
Nè il tutto può essere superato dalla possibilità di revoca, la quale, pur essendo liberamente esercitabile, è bene che sia sempre motivata, posto che la revoca senza giusta causa dà diritto all'amministratore di domandare il risarcimento del danno.
Dette norme restano sempre inderogabili da parte del regolamento, permanendo l'espresso divieto di deroga (anche) dell'art. 1129 c.c. di cui al penultimo comma dell'art. 1138 c.c. (nella precedente versione, ultimo comma).
Il provvedimento del Tribunale di Milano indicato è il primo provvedimento noto emesso in materia.
Non mancheranno certamente altre decisioni di opposto avviso, date le controverse interpretazioni presenti attualmente sul punto e alle quali si è accennato.
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