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I poteri dell'amministratore di condominio non sono assoluti: al contrario la legge tende a fare del mandatario del condominio soprattutto un esecutore della volontà assembleare.
Sebbene dopo l'entrata in vigore della riforma del condominio il novero delle attribuzioni sia stato sensibilmente ampliato, il ruolo dell'amministratore resta identico: rappresentante dei condomini in relazione alle parti comuni, con potere di spendita del nome.
Il paragone che può venire in mente se si fa riferimento ad una persona giuridica o ad un ente di diritto pubblico è quello con l'organo esecutivo: c'è qualcuno che ordina che fare (nel condominio l'assemblea) l'organo esecutivo traduce l'indicazione in pratica.
Si badi, però, che per quanto l'amministratore sia subordinato alla volontà assembleare, egli mantiene un autonomo potere decisionale che gli dà facoltà di decidere degli interventi anche al di là della volontà assembleare.
Una sentenza resa dal Tribunale di Milano, esattamente la n. 12409 del 12 novembre 2012, sembra andar contro quest'ultima affermazione.
Il Tribunale di Milano, in una causa avente ad oggetto la legittimità della decisione dell'amministratore di resistere in un giudizio civile, ha affermato che la competenza dell'amministratore consiste nell'eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini (art. 1130 c.c., comma 1, n. 1).
Da tale disposto si evince che l'essenza delle funzioni dell'amministratore è imprescindibilmente legata al potere decisionale dell'assemblea: è l'assemblea l'organo deliberativo del condominio e l'organo cui compete l'adozione di decisioni in materia di amministrazione dello stesso, mentre l'amministratore riveste un ruolo di mero esecutore materiale delle deliberazioni adottate in seno all'assemblea.Nessun potere decisionale o gestorio – prosegue il Tribunale meneghino – compete all'amministratore di condominio in quanto tale: egli non ha autonomi poteri, ma si limita ad eseguire le deliberazioni dell'assemblea ovvero a compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio (art. 1130 c.c.).
Ne consegue che, anche in materia di azioni processuali il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all'assemblea che dovrà deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente e se svolgere domande riconvenzionali (Trib. Milano 12 novembre 2012 n. 12409).
Quest'affermazione, proprio se riferita ai poteri di azioni processuali, pare errata: vediamo perché.
Il primo comma dell'art. 1131 c.c. recita:
Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi.
Un condomino non rispetta un regolamento?L'amministratore può agire in giudizio senza essere autorizzato dall'assemblea.
Chiaramente l'amministratore non potrà agire se l'assemblea decide di non promuovere una causa, ma nell'ambito dei propri poteri il mandatario della compagine non deve chiedere la preventiva autorizzazione assembleare (cfr. Cass. 26 giugno 2006 n. 14735).
Ciò vale anche per le cause in cui è il condominio ad essere citato in giudizio.
Nel limite delle attribuzioni conferitegli dalla legge, infatti, l'amministratore può resistere in giudizio senza il preventivo assenso dell'assemblea.
Si pensi all'impugnazione delle delibere assembleari (cfr. Cass. 14 gennaio 1997 n. 278).
Solamente nelle cause eccedenti dalle proprie attribuzioni l'amministratore deve farsi autorizzare dall'assemblea ad agire o resistere in giudizio con le maggioranze di cui all'art. 1136, quarto comma, c.c. (cfr. Cass. SS.UU. n. 18331/10).
Ed allora, perché il Tribunale di Milano, tra l'altro proprio citando quest'ultima sentenza, è arrivato alle conclusioni sopra indicate?
Non sempre dal semplice testo della sentenza è possibile evincere chiaramente il reale motivo di quell'affermazione: potrebbe esserci stata una decisione assembleare che imponeva all'amministratore di non agire in giudizio (in tal caso la sentenza in esame sarebbe impeccabile).
Oppure? Semplicemente potrebbe essere una soluzione non giusta, insomma errata, contro la quale è stato possibile valutare seriamente l'opportunità di proporre appello?
Ad ogni buon conto questa sentenza rappresenta l'ennesima dimostrazione, se ve ne fosse bisogno, che in materia di cause condominiali la confusione è davvero molta.
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