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Un immobile può essere concesso in locazione anche se il contratto è concluso da uno solo dei due coniugi in regime di comunione dei beni. Il negozio stipulato senza il consenso dell'altro coniuge risulta valido. È quanto sostenuto dal Tribunale di Cremona con sentenza del 14 febbraio 2013.
Prima di prendere in esame la decisione dei giudici di merito facciamo un passo indietro e soffermiamoci su quelle che sono le questioni più significative al fine di inquadrare la fattispecie.
Vedremo infatti in cosa consiste la comunione dei beni e quali sono i suoi effetti sulla gestione patrimoniale dei coniugi.
Successivamente ci soffermeremo su quelle che sono le implicazioni della scelta di stipulare un contratto di locazione con la partecipazione di un solo coniuge.
Tra moglie e marito il regime patrimoniale della famiglia può essere la comunione oppure la separazione dei beni. Il regime legale è quello della comunione e il coniuge potrà chiedere la divisione dei beni solo in caso di suo scioglimento.
Sarà dunque questo ad essere applicato durante il matrimonio, a meno che i coniugi non abbiano optato per la separazione dei beni o per altra convenzione matrimoniale che implicano annotazione a margine dell'atto di matrimonio.
La comunione dei beni comprende:
1) i beni acquistati dai coniugi, insieme o separatamente, durante il matrimonio.
Si intendono esclusi:
2) le aziende costituite durante il matrimonio e gestite da entrambi i coniugi;
3) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi ma risparmiati;
4) i proventi dell'attività professionale di ciascuno dei coniugi percepiti ma non consumati.
Le ultime due tipologie di beni si considerano rientranti in comunione solo ai fini di un eventuale scioglimento della stessa. Appartengono durante il matrimonio al coniuge che li ha percepiti.
Se risparmiati, saranno tuttavia divisi in parti uguali al momento in cui la comunione venga meno.
Quali sono le regole per amministrare i beni rientranti in comunione legale?
Innanzitutto occorre fare la distinzione tra atti di ordinaria amministrazione e atti di straordinaria amministrazione.
In base alla pronuncia del Tribunale di Cremona ciascun coniuge può, senza l'intervento dell'altro, compiere atti di ordinaria amministrazione, tra i quali i giudici, con pronuncia innovativa, considerano rientrante la conclusione di un contratto di locazione avente a oggetto un immobile facente parte della comunione dei beni.
A differenza degli atti di amministrazione ordinaria dei beni che possono essere posti in essere disgiuntamente da ciascuno dei coniugi, gli atti di straordinaria amministrazione devono invece essere compiuti congiuntamente. In caso di eventuale disaccordo si rivolgeranno al giudice affinché prenda una decisione in merito.
Il compimento di un atto di straordinaria amministrazione senza il consenso dell'altro coniuge ha degli effetti ben precisi e significativi. L'atto compiuto è infatti annullabile se riguarda beni immobili o beni mobili registrati, con effetti negativi anche per il terzo soggetto che è stato coinvolto nel negozio giuridico.
Nel caso esaminato dal Tribunale di Cremona uno solo dei coniugi decideva di affittare un immobile rientrante in comunione di beni. La moglie, a tutela dei suoi diritti, invocava l'articolo 184 codice civile per ottenere una dichiarazione di nullità dell'atto compiuto dal marito.
Secondo quanto affermato dai Giudici di Cremona la concessione in locazione di un bene immobile è configurabile come atto di ordinaria amministrazione che, come tale, non richiede il consenso di entrambi i coniugi. In riferimento a tali atti si riconosce, infatti, piena autonomia di poteri da parte dei coniugi.
Sono atti di ordinaria amministrazione quelli che non permettono di modificare la consistenza del patrimonio in comunione, come appunto l'affitto di un immobile.
Il Tribunale di Cremona, per le motivazioni sopra esposte, respinge la domanda della moglie evidenziando inoltre che, ai sensi dell'articolo 184 codice civile non si sarebbe comunque trattato nemmeno di atto nullo ma annullabile, con azione esercitabile entro il termine di prescrizione di un anno.
Siamo di fronte a un orientamento giurisprudenziale innovativo in tema di comunione legale tra coniugi che si pone in linea con quanto affermato in materia di comproprietà dalla Cassazione riunita a Sezioni Unite con sentenza 11135/2012.
In linea con quanto affermato dai Giudici di Legittimità, il Tribunale di Cremona ritiene che il contratto di locazione concluso da uno solo dei coniugi sia valido. Il coniuge che abbia agito in autonomia pone in essere un atto di gestione di affari altrui, come tale lecito e soggetto alle regole proprie di tale istituto.
L'altro coniuge non subirà inoltre alcun pregiudizio poiché resta salvo il diritto a percepire la propria parte di canone dall'inquilino o, in caso di cattiva gestione, l'eventuale risarcimento da parte del coniuge. Troverà dunque applicazione l'articolo 2032 codice civile in base al quale in caso di gestione non rappresentativa, il coniuge non locatore potrà ratificare l'atto posto in essere dal gestore ed esigere la propria quota del canone.
Il risarcimento del danno potrà essere richiesto in caso di mala gestio, come nel caso in cui, ad esempio, il canone di affitto applicato sia inferiore a quello di mercato.
Siamo di fronte ad un'impostazione che consente di tutelare altresì gli interessi del conduttore.
Il contratto di affitto, come abbiamo detto, viene validamente sottoscritto, con l'unica eccezione che l'inquilino fosse a conoscenza del rifiuto da parte dell'altro coniuge.
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