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È uno dei metodi attualmente più diffusi al Centro Nord per produrre riscaldamento per abitazioni, grazie alla veicolazione di fluidi termovettori, tramite tubature, da una centrale. Questi liquidi possono essere acqua surriscaldata o vapore.
Vera protagonista, in questo ciclo di produzione di calore, è la centrale, chiamata centrale di cogenerazione, che può essere alimentata in vari modi: per mezzo di combustibili fossili, a biomasse, oppure utilizzando la geotermia o il solare termico. La cogenerazione dalle centrali nucleari è utilizzata ovviamente all'estero, mentre in Italia molto usata è la cogenerazione dai termovalorizzatori dei rifiuti solidi urbani.
Il principio di funzionamento dell'intero ciclo è molto semplice: si basa sulla costruzione di una rete di tubature sotterranee e non, che trasportano il fluido, ad una certa temperatura, dalla centrale agli utenti. Tramite uno scambiatore di calore, che agisce da caldaia, il liquido termovettore riscalda l'acqua dell'impianto di riscaldamento. Non solo: lo scambiatore stesso può gestire anche il riscaldamento dell'acqua calda sanitaria.
L'acqua viene riscaldata dalla centrale fino ad una temperatura pari a circa 120°C e successivamente immessa nella rete di distribuzione ai vari edifici. Dopo aver riscaldato l'acqua per il riscaldamento, a fine processo e ad una temperatura di circa 60°C, essa ritorna in centrale per un nuovo ciclo.
Un circuito a sé stante permette, tramite uno scambiatore rapido per ogni edificio, al fluido di riscaldare l'acqua sanitaria domestica fino a 50°C circa, mentre l'energia elettrica prodotta, che non viene utilizzata, entra nella rete cittadina per gli usi locali.
Per ovvie ragioni di costi di investimento iniziale, questo tipo di tecnologia, particolarmente efficiente, risulta conveniente soprattutto per le aree urbane. Oltretutto la cogenerazione di calore e di energia elettrica permette un risparmio notevole di risorse, rispetto ad una produzione separata.
L'uso di fonti rinnovabili, poi, unito a tecnologie che permettono basse emissioni in atmosfera, assicura un basso impatto ambientale, migliorato anche dal fatto che teleriscaldare agglomerati urbani in questo modo, rende superflua l'accensione di caldaie singole per ogni abitazione, con conseguente diminuzione dei gas emessi.
In Italia si è diffusa la tecnologia del teleriscaldamento a partire dai primi anni '70, con la dotazione di Brescia del primo impianto di cogenerazione e che oggi copre il fabbisogno della città per il 70%. In seguito altre città si sono dotate di tali impianti, coprendo varie zone del Centro-Nord.
La centrale di Brescia è costituita da tre turbogruppi di cogenerazione, a loro volta composti da generatore di vapore, turbina e alternatore, e da una caldaia semplice. Per tutto l'impianto ci sono volute tre fasi per arrivare all'attuale conformazione: 1976, 1980, 1988, anno in cui fu inaugurata la terza caldaia che può utilizzare il carbone, la qual cosa rappresenta, secondo gli ambientalisti, una caratteristica controversa e ancora tutta da risolvere per l'assoluzione completa di tale tecnologia nella sua applicazione.
I termovalorizzatori di rifiuti, oltre ad essere una fonte di energia termica per il teleriscaldamento, contribuiscono alla produzione di energia elettrica. Il CDR è l'acronimo per Combustibile Derivato dai Rifiuti, e indica uno dei due modi per rifornire gli impianti: con rifiuti non trattati, o sotto forma di CDR, ovvero dopo alcuni cicli particolari di lavorazione che li rendono un combustibile altamente energetico.
Tale tipologia di recupero dei rifiuti in termini di energia, benché ancora controversa anch'essa, rappresenterebbe, se attuata con impianti dalle elevate prestazioni energetiche, ma anche con depurazioni e filtraggi adeguati dei fumi e delle polveri, un'ottima soluzione in termini di impatto ambientale, in quanto assicurerebbe sia il risparmio di risorse energetiche, sia l'eliminazione di emissioni di gas serra dovute ad altri tipi di alimentazioni.
Inoltre, come avviene nella centrale di Brescia, anche le ceneri pesanti derivate dalla combustione sono recuperate, alcune direttamente in sito, come il ferro, altre inviate ad impianti appositi per la lavorazione e il successivo invio ad altri impianti per produzione di materiali per l'edilizia, come cemento e calcestruzzo.
Le polveri recuperate dai filtri, dopo opportune lavorazioni per renderle inerti, vengono inviate in Germania per lo stoccaggio definitivo.
A partire dai primi anni '90 anche l'Alto Adige si è dotato di impianti di teleriscaldamento, 57 in tutto, a biomassa, grazie alla ricca quantità di foreste e zone boschive in generale, che permette agli altoatesini di sfruttare questo patrimonio, il legname, appunto, fonte di energia pulita e rinnovabile.
Le foreste del territorio dell'Alto Adige hanno una ricrescita notevole, sfruttata annualmente solo per il 50%, per cui risulta una fonte ottimale, ad impatto neutro di CO2 sull'ambiente. Cosa da sottolineare è anche lo sfruttamento degli scarti di falegnameria della zona, quindi di segatura.
Insomma, tante sfaccettature di un'unica medaglia, alcune ancora da affinare in termini di impatto ambientale, ma la strada sembra in discesa.
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