|
La sentenza n. 16332 del 2018 della Corte di Cassazione apporta un utile chiarimento a proposito di addebito dell'IVA (Imposta sul Valore Aggiunto) alla Tariffa di Igiene Ambientale e soprattutto alla Tariffa Integrata Ambientale.
Dato che gli acronimi sono gli stessi, si è pensato di numerarli: TIA1 e TIA2.
Proseguendo il solco già tracciato dalle precedenti sentenze della stessa Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, la sentenza evidenzia le caratteristiche e le distinzioni che esistono per la prima, per cui erà ormai indubbio che non si applica l'IVA, e la seconda, per la quale, evidentemente, qualche dubbio persiste.
La sentenza in commento ci offre un'esposizione della normativa e della giurisprudenza in materia, utili a comprendere cosa siano la TIA1 e la TIA2, cosa le distingue nonché i precedenti giurisprudenziali.
Noi seguiremo, in maniera sintetica, tale ordine espositivo, certamente utile a ben comprendere la questione.
La sentenza parte dalla Tariffa Ingiene Ambientale, detta anche TIA1, per la quale la giurisprudenza ha già affrontato varie volte la questione ed escluso l'assoggettabilità a IVA, dato il suo carattere tributario.
La norma di riferimento è quella prevista dall'art. 49, D.Lgs. n. 22/1997 noto come decreto RONCHI; detto articolo apportò una novità nel settore dei rifiuti, prevedendo l'obbligo dei Comuni di adottare una tariffa, usualmente detta appunto Tariffa di Igiene Ambientale.
La detta tariffa era:
composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all'entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimenti e di esercizio (art. 49, co. 4, D.Lgs. n. 22/1997).
La TIA (1) avrebbe sostituito la T.A.R.S.U. ma, mentre della natura pubblicistica della TARSU e dunque dell'esclusione dell'IVA non si era mai dubitato, così non era per la TIA(1): per quest'ultima, veniva usata la parola tariffa, ma al contempo si diceva che doveva sempre coprire i costi.
I dubbi sulla natura pubblicistica o privata dell'istituto furono chiariti dalla giurisprudenza: in particolare, la sentenza n. 238 del 2009 della Corte Costituzionale affermò che la TIA manteneva la natura di tributo già propria della TARSU.
La giurisprudenza di legittimità ha ribadito la natura tributaria della TIA e il concetto per cui l'IVA colpisce la capacità contributiva, la quale si ha quando è versato un corrispettivo a fronte dell'acquisizione di beni e servizi (ai sensi dell'art. 3, D.P.R. n. 633/1972) e non quando si paga un'imposta, sia pure destinata a finanziare un servizio.
Il principio, evidenzia la Corte, è stato varie volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, sino anche delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 5078/2016).
La Tariffa Integrata Ambientale, detta invece TIA2, è quella che è stata successivamente prevista dall'art. 238, D.Lgs. n. 152/2006 (c.d. Codice dell'ambiente), in abrogazione della precedente TIA1. Secondo tale articolo:
chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte ad uso privato o pubblico non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, che producano rifiuti urbani, è tenuto al pagamento di una tariffa. La tariffa costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e ricomprende anche i costi indicati dall'articolo 15 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 (v. art. 238, co.1, D.Lgs. n. 152/2006);
detta tariffa è inoltre è:
commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri, determinati con il regolamento di cui al comma 6, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali (v. art. 238, co.2, D.Lgs. n. 152/2006).
Caratteristiche ben diverse dalla TIA1, essendo, evidenzia la Corte, la TIA2 strettamente legata alla produzione dei rifiuti, dunque alla fruizione effettiva del servizio e commisurata alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti, agli usi e alle attività del produttore del rifiuto, quanitificata anche sulla base di indici reddituali; di tale fruizione la tariffa è quindi corrispettivo.
Così, afferma la Corte, tale costruzione legislativa (Cass. n. 16332/2018) della Tariffa Integrata, la prima a essere espressamente definita come corrispettivo del servizio cui si riferisce, porta a concludere per la sua natura privatistica, con conseguente assoggettabilità all'IVA ai sensi dell'art. 3, D.P.R. n. 633/1972, coerentemente con quanto può desumersi dal principio affermato dalle S.U. (Cass. S.U. n. 5078/2016, e dalla precedente conforme giurisprudenza di legittimità.
E, aggiunge la Corte, non può far propendere per il contrario il fatto che il pagamento sia previsto come obbligatorio della legge, dal momento che, ai sensi dell'art. 3, D.P.R. n. 633/1972, le prestazioni verso corrispettivo di servizi – quale è quella di gestione dei rifiuti - sono soggette a IVA, qualunque ne sia la fonte che da cui sorge l'obbligo.
La stessa Corte Costituzionale, nella citata sentenza 238 evidenziò la distinzione che esisteva tra le due tariffe e, in particolare, che il termine corrispettivo era stato usato dalla legge solo con riferimento alla Tariffa Integrata (v. art. 238, Codice Ambiente) e non anche per la Tariffa di Igiene Ambientale (v. art. 49 Decreto Ronchi), peraltro non oggetto di quel procedimento di legittimità.
Aggiungeva in quella sede la Corte Costituzionale che l'ordinamento comunitario, nel prevedere che vi fosse una proporzionalità tra la produzione del rifiuto ed il pagamento da parte del produttore dello stesso, dei costi dello smaltimento, non aveva però indicato come necessario che ciò avvenisse mediante un tributo, oppure un corrispettivo di tipo privatistico.
Rammenta inoltre la Corte, nella sentenza in esame, che il carattere privatistico della TIA2 è stato poi espressamente sancito dall'art. 14, co.33, D.Lgs. n. 78/2010, che ne ha negato il carattere tributario ed ha dunque fugato ogni dubbio in proposito, perlomeno dal momento della sua emanazione in poi.
La Corte poi conclude che l'art. 14, co. 33, D.L. n. 78/2010, ha confermato la natura non tributaria della TIA2, quale è già si può evincere dalla norma che lo prevede nel codice dell'ambiente, con una disposizione che, è di interpretazione autentica dell'art. 238 di detto codice (e, quindi, della TIA2) e non anche della TIA1, e dichiara il principio secondo cui la c.d. TIA2, come è interpretata dall'art. 14, co.33, D.L. n. 78/2010, ha natura privatistica, ed è dunque soggetta ad IVA ai sensi degli artt. 1 e 3, art. 4, co. 2 e 3, D.P.R. n. 633/1972.
La Corte non manca di descrivere il regime normativo del periodo di transizione tra le due figure della TIA1 e della TIA2.
Nonostante con il codice dell'ambiente fosse stata abolita la TIA1, in realtà, nell'attesa del regolamento ministeriale relativo alla TIA2, i regimi precedenti (TARSU e TIA1) furono prorogati.
Successivamente, si stabilì (D.L. n. 208/2008) che, ove non fosse stato adottato il detto regolamento entro un certo termine, poi prorogato per alcuni anni, i Comuni avrebbero potuto scegliere di dotarsi della TIA2.
|
||