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Il codice civile del 1942 disciplinava esclusivamente la fattispecie del condominio negli edifici (artt. 1117-1139 c.c.), ossia quella particolare forma di comunione nella quale al fianco di piani o porzioni di proprietà esclusiva (unità immobiliari) vi sono parti dello stabile (locali, impianti, ecc.) di proprietà comune.
La peculiarità del condominio sta nel fatto che queste parti, elencate in modo esemplificativo dall'art. 1117 c.c., sono in un rapporto di funzionalità ed accessorietà rispetto alle unità immobiliari sicché, salvo particolati ipotesi, non sono suscettibili di divisione.
Proprio in ragione di ciò si è soliti affermare che il condominio rappresenta una comunione forzosa.
L'evoluzione urbanistica ha portato alla nascita di conglomerati di edifici, già di per sé costituenti condominio, i quali hanno in comune tra loro una serie di cose, impianti e servizi.
Questa tipologia edilizia ha preso il nome, secondo quella che è l'unanime definizione dottrinaria, che come si vedrà oltre è stata recepita anche dalla giurisprudenza di merito e di legittimità di supercondominio (o anche condominio complesso).
Fino al giugno del 2013 (data di entrata in vigore della riforma del condominio), in assenza di una specifica disciplina normativa che regolamentasse tale fattispecie, la gran parte del dibattito dottrinario in materia, quanto meno nei primi tempi, è stata rivolta alla individuazione delle norme applicabili.
Due le posizioni:
a) da un lato chi propendeva per l'applicazione degli articoli dettati in materia di comunione (artt. 1100-1116 c.c.);
b) dall'altra parte una nutrita schiera di studiosi che, invece, optava per l'assoggettamento del supercondominio alle norme di cui agli artt. 1117 e ss c.c.
Quanto alla prima tesi, si diceva che le norme dettate in relazione al condominio negli edifici presuppongono che il rapporto la condominialità s'instauri solamente per quei beni che si trovano nell'ambito di un unico fabbricato e non anche per quelle cose sono comuni a più d'uno stabile.
La Cassazione, in quello che è in suo filone dominante, ha fatto propria la seconda ipotesi.
Con una pronuncia resa nel 2000 i giudici di legittimità ebbero a specificare che le parti, necessarie per l'esistenza o destinate al servizio o all'uso di più edifici, appartengono ai proprietari delle unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati e vengono regolate, se il titolo non dispone altrimenti, in virtù di interpretazione estensiva ovvero in forza di integrazione analogica, dalle norme dettate in tema di condominio negli edifici (Cass. 7 luglio 2000 n. 9096).
Tale applicazione analogica, spiegava la Corte, è possibile poiché, Allo stesso modo di quanto avviene per le parti di uso comune afferenti ad una sola costruzione (e, di solito, interne ad essa),le cose, gli impianti ed i servizi elencati dall'art. 1117 cit., comuni a più costruzioni e spesso esterni ad esse, sono del pari necessari per l'esistenza e per l'uso, ovvero sono destinati all'uso o al servizio dei piani o delle porzioni di piano siti nei diversi fabbricati, quando questi sono legati dallo stesso vincolo strumentale, materiale o funzionale (Cass. ult. cit.).
La Suprema Corte, in ragione della necessaria sussistenza di tale vincolo di accessorietà, ha specificato chiaramente che per il caso di beni comuni alle varie realtà condominiali ma sprovvisti del suddetto requisito dell'accessorietà le norme da considerarsi applicabili sono quelle dettate in materia di comunione e non quelle di cui agli artt. 1117 e ss. c.c. Come dire, se la cosa in comune è imprescindibile per il godimento della proprietà esclusiva (si pensi all'impianto idrico o di riscaldamento) si tratterà di bene sottoposto al regime di condominio.
Qualora, invece, il bene ha una mera di funzione di abbellimento o accrescimento del valore, senza quel requisito di accessorietà che lo renda indispensabile per la fruizione delle unità immobiliari, allora sarà applicabile la disciplina della comunione.
Questa impostazione giurisprudenziale, che è poi divenuta maggioritaria e comunemente accolta dagli studiosi della materia come il formale e sostanziale riconoscimento della figura del supercondominio, ha trovato sostanziale accoglimento nel codice civile, che con la riforma del 2012 (legge n. 220), ha dato formale riconoscimento a quelle fattispecie in cui più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117 (così art. 1117-bis c.c.). Sebbene la norma non faccia espressa menzione del supercondominio, non vi sono dubbi sul fatto che sia riferibile ad esso.
Assieme al riconoscimento formale del supercondominio, il legislatore ha previsto anche una specifica regolamentazione per il funzionamento dell'assemblea di questa compagine.
Le norme di riferimento sono rappresentate dai commi terzo, quarto e quinto dell'art. 67 disp. att. c.c. che recitano:
Nei casi di cui all'articolo 1117-bis del codice, quando i partecipanti sono complessivamente più di sessanta, ciascun condominio deve designare, con la maggioranza di cui all'articolo 1136, quinto comma, del codice, il proprio rappresentante all'assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell'amministratore. In mancanza, ciascun partecipante può chiedere che l'autorità giudiziaria nomini il rappresentante del proprio condominio. Qualora alcuni dei condominii interessati non abbiano nominato il proprio rappresentante, l'autorità giudiziaria provvede alla nomina su ricorso anche di uno solo dei rappresentanti già nominati, previa diffida a provvedervi entro un congruo termine. La diffida ed il ricorso all'autorità giudiziaria sono notificati al condominio cui si riferiscono in persona dell'amministratore o, in mancanza, a tutti i condomini.
Ogni limite o condizione al potere di rappresentanza si considera non apposto. Il rappresentante risponde con le regole del mandato e comunica tempestivamente all'amministratore di ciascun condominio l'ordine del giorno e le decisioni assunte dall'assemblea dei rappresentanti dei condominii. L'amministratore riferisce in assemblea.
All'amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea.
Il primo dato che dev'essere evidenziato è che questa particolare modalità di svolgimento dell'assemblea del supercondominio trova applicazione solamente se i partecipanti sono più di sessanta.
Per partecipanti devono intendersi i proprietari delle unità immobiliari.
Se un'unità immobiliare è di proprietà di più persone o se su quel cespite coesistono, ad esempio, proprietà ed usufrutto, quei soggetti, ai fini del calcolo del numero dei partecipanti, devono essere considerati alla stregua di un unico proprietario.
Al superamento di queste soglie, dunque, i condominii, ognuno per sé nell'ambito delle proprie assemblee, devono nominare, con le maggioranze previste per le innovazioni (quorum deliberativi particolarmente alti), i rappresentanti in seno all'assemblea del supercondominio.
Si tratta di un procedimento particolarmente arzigogolato: se le intenzioni erano quelle di rendere più semplice lo svolgimento di assemblee che il numero elevato di partecipanti rischia di mettere in discussione, la procedura dettata dall'art. 67, terzo comma, disp. att. c.c., rischia di pregiudicare proprio lo svolgimento dell'assemblea.
Quanto tempo ci vorrà per convocare l'assemblea di un supercondominio?
Che vuol dire congruo termine passato il quale si può ricorrere all'Autorità Giudiziaria? Saranno sufficienti un paio di settimane – in considerazione del termine libero minimo di cinque giorni previsto dalla legge (art. 66 disp. att. c.c.) per la convocazione dell'assemblea condominiale – o il termine dovrà essere maggiore?
Ed ancora: tenuto conto che l'amministratore del condominio è un mandatario dei condomini, non sarebbe stato più ragionevole consentire, quanto meno in via subordinata alla mancata nomina, che fosse egli stesso a poter rappresentare il condominio nell'ambito dell'assemblea supercondominiale?
Per il calcolo dei quorum costitutivi e deliberativi, visto che nulla si dice in merito, in virtù del richiamo alle norme sul condominio contenute nell'art. 1117-bis c.c., la soluzione più logica pare possa essere la seguente: il mandatario della singola compagine rappresenterà una quota millesimale pari ai millesimi di tutti i comproprietari da esso rappresentati.
Proprio con riferimento a questa nuova figura, dalla lettura delle norme in esame, pare possa trarsi una conclusione: la delega a partecipare all'assemblea del supercondominio non è soggetta a limitazioni temporali: in poche parole il delegato resta tale fino alla sua sostituzione.
Infine è bene evidenziare che, come detto in principio, questa procedura si applica solamente per la gestione ordinaria e la nomina dell'amministratore, ergo: per le restanti questioni, tutti i partecipanti devono essere direttamente convocati, al di là del loro numero.
Ai sensi dell'art. 1129 c.c. in ogni condominio con più di otto partecipanti l'assemblea deve nominare un amministratore, ossia un mandatario dei singoli partecipanti che gestisca in loro nome e conto le parti comuni ed i rapporti con i terzi per le questioni ad esse afferenti.
Nel caso in cui l'assemblea non dovesse provvedere, ciascun condomino potrebbe rivolgersi all'Autorità Giudiziaria per la nomina dell'amministratore.
Il mandatario dei condomini dura in carica un anno e può essere revocato, sempre dall'assemblea, in ogni momento. In caso di mancata revoca l'incarico s'intende prolungato per periodo di eguale durata.
Nomina e revoca sono validamente deliberate se la decisione ad esse inerenti è adottata dalla maggioranza dei partecipanti alla riunione che rappresentino quanto meno la metà del valore dell'edificio.
Che cosa accade per il supercondominio?
Come abbiamo visto le norme sul condominio si applicano per i profili attinenti l'individuazione delle cose comuni e per quelle relativa alla gestione?
Ciò vuol dire che anche all'amministratore del supercondominio devono applicarsi gli artt. 1129, 1130 c.c.
In primis è bene specificare che non ci sono dubbi sul fatto che il numero di otto partecipanti debba essere riferito ai condomini e non agli edifici.
Ciò vuol dire che anche solo con 8 edifici ma con 20 condomini sarà obbligatorio nominare l'amministratore. Per questo adempimento, come s'è visto in precedenza, la competenza spetta all'assemblea del supercondominio composta dai delegati dei singoli condominii.
I quorum necessari alla nomina sono identici a quelli dell'amministratore condominiale; quindi la maggioranza degli intervenuti all'assemblea ed almeno la metà dei millesimi.
Il calcolo dei millesimi è fatto sulla base delle tabelle di proprietà dei beni comuni ai vari edifici condominiali.
Quanto alla revoca, non essendo menzionata dall'art. 67 disp. att. c.c. deve ritenersi che essa debba/possa essere deliberata dall'assemblea composta dai condòmini e non dai loro rappresentanti.
Una volta assunta la carica, infine, l'amministratore del supercondominio avrà gli stessi doveri e gli stessi poteri di un normale amministratore condominiale.
Come il condominio, anche il supercondominio deve avere delle tabelle millesimali utili al calcolo delle maggioranze ed alla ripartizione delle spese.
In sostanza anche per il supercondominio si potranno avere:
a) tabelle contrattuali, ossia approvate e sottoscritte da tutti i condomini;
b) tabelle giudiziali, ossia predisposte dalla Tribunale del luogo in cui è ubicato l'immobile a seguito di un giudizio civile avente tale oggetto;
c) tabelle assembleari, in quanto come è stato osservato di recente dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le tabelle millesimali non devono essere approvate con il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1138 c.c., comma 2 (Cass. SS.UU. 9 agosto 2010 n. 18477).
È bene ricordare che solo il primo tipo di tabelle può derogare ai criteri legali di ripartizione delle spese, potendo prevedere, ad esempio, la suddivisione in parti uguali.
Che cosa accade se le tabelle non rispecchiano i rapporti di proporzione originari?
Il discorso, naturalmente, non vale per quelle tabelle contrattuali con le quali, volontariamente, s'è deciso di derogarvi.
Al riguardo la risposta deve essere ricercata nell'art. 69 disp. att. c.c., a mente del quale:
I valori proporzionali dei vari piani o porzioni di piano possono essere riveduti o modificati, anche nell'interesse di un solo condomino, nei seguenti casi:
1) quando risulta che sono conseguenza di un errore;
2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza della sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di innovazioni di bassa portata, è notevolmente alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano.
Sostanzialmente, qualora i criteri di ripartizione non fossero corretti, per i motivi indicati dalla norma succitata, i partecipanti al supercondominio, singolarmente considerati o in gruppo, potrebbero:
a) chiedere all'assemblea del condominio complesso di provvedere alla revisione di quel documento (secondo la sopra indicata sentenza delle Sezioni Unite anche la revisione, così come l'approvazione, non necessita dell'unanimità);
b) agire giudizialmente per ottenere l'identico risultato.
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