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Irridono la forza di gravita' e trascinano la tecnologia a livelli poco prima inimmaginabili: sono i grattacieli, che continuano a stupirci per la rapidita' e la maestosita' con le quali vengono innalzati in ogni parte del mondo, ben oltre i tredici piani del loro progenitore, l'edificio sede dell'Home Insurance Company, sorto a Chicago nel 1885, quasi un secolo e mezzo fa.
Se la competizione giocata sulle altezze e sulle forme sempre più avveniristiche coinvolge ormai a pari merito Oriente e Occidente, sembra che una nuova sfida stia trovando terreno fertile (ed è proprio il caso di dirlo) proprio nella patria dello skyscraper, gli Stati Uniti, attraverso la proposta provocatoria di un professore di microbiologia della Columbia University, Dickson Despommier.
Il ricercatore, consapevole dell'evidente penuria di terreno da destinare all'agricoltura e all'allevamento rispetto alla sempre più estesa e variegata richiesta di prodotti alimentari per una popolazione in costante crescita, propone di riciclare le grandi altezze di edifici metropolitani in disuso per destinarli allo skyfarming, ossia alla coltivazione agricola e alla conduzione di animali svolta su larga scala (o sarebbe meglio dire alta scala) in fattorie impiantate su vari piani.
Un esempio per spiegarmi meglio.
Prendiamo un classico grattacielo della Big Apple e da simbolo della colossale ricchezza della multinazionale che vi ha sede e come tale lo sbandiera al mondo intero, proviamo a riconvertirlo in qualcosa che sia ecologico, a basso impatto ambientale, ecosostenibile, autosufficiente, in grado di produrre beni di consumo per una bella manciata di cittadini e, perché no, anche poetico e suggestivo.
Ai piani più alti potremmo coltivare, con il pieno beneficio dei raggi solari e dell'acqua piovana, ortaggi e piante da frutto, lasciando un po' di posto anche a qualche filare di vigneti. Immediatamente sotto, campi di grano irrigati dalla pioggia convogliata in apposite tubature lascerebbero il passo, ai piani intermedi, a nuovi inquilini: ovini e bovini per la produzione di latte, carne e lana, al pascolo libero e protetto in un ambiente controllato e confinato, al riparo da epidemie e contaminazioni. Alla riconversione degli scarti sarebbero invece adibiti i piani inferiori, con una centrale termodinamica che provvederebbe a fornire energia pulita e rinnovabile.
L'insieme, arricchito da un buon numero di pannelli solari e fotovoltaici, oltre che da pale eoliche e da complessi sistemi di ricircolo e trattamento, prefigura il modello di un nuovo tipo di produzione, lontana dallo sfruttamento e amica della riforestazione; concentrare in un punto e mirare verso l'alto permette infatti di far crescere alberi tutt'intorno alla skyfarm, abbattendo i livelli di anidride carbonica dell'atmosfera e delineando un paesaggio urbano molto più verde e a misura d'uomo rispetto ad oggi.
Inoltre, niente più camion in transito continuo da e verso la città, carichi di prodotti alimentari, ma solo limitati trasporti verticali e spostamenti calibrati ad una scala da commercio al dettaglio.
Sostenuta da associazioni ambientaliste e da politici e progettisti d'avanguardia, l'iniziativa trova attualmente limitate concretizzazioni in qualche stato americano e non manca di suscitare accese critiche, talvolta scadenti in un'aspra ironia. Dennis Avery, dell'Hudson Institute, parla dello skyfarming come di una buona idea che purtroppo non funziona: i costi di adeguamento o costruzione degli edifici, le risorse necessarie per l'illuminazione e la climatizzazione sarebbero eccessivi rispetto alle quantità da produrre e non paragonabili con quelle dell'agricoltura e dell'allevamento tradizionali, costi per spostamenti e trasporti compresi, incidenti per il solo 3% nel ciclo produttivo.
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