I condomini hanno diritto di usare i beni comuni nel modo che ritengono più consono alle proprie necessità
I condomini hanno diritto di
usare i beni comuni nel modo che ritengono più consono alle proprie necessità. Quest'affermazione trova riscontro nell'
art. 1102 c.c. dettato con riferimento alla comunione ma ritenuto pacificamente applicabile anche al condominio negli edifici, in virtù del richiamo contenuto nell'
art. 1139 c.c. Quello stesso articolo prevede
due limitazioni: a) che
l'uso individuale non limiti al pari diritto degli altri; b) che nell'usare il bene comune
non se ne alteri la destinazione d'uso. Non si può usare, per fare un esempio, la
sala riunioni come appartamento per ospitare degli amici che ci fanno visita. Chiarito ciò
è bene domandarsi: l'uso dei beni comuni può portare alla loro usucapione da parte di uno dei comproprietari? Prima di dare soluzione al quesito vale la pena ricordare che
l'usucapione è una modalità di acquisto della proprietà che si fonda sul possesso pacifico e indisturbato per un determinato numero di anni (in linea generale per un ventennio). Tornando alla domanda che ci siamo appena posti, la risposta è positiva purchà
il possesso del bene comune sia esclusivo, prolungato duri almeno da vent'anni e nessuno degli altri condomini abbia mai obiettato nulla. In tal senso
la Cassazione ha avuto modo di affermare che
in tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sè, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all'esercizio del possesso "ad usucapionem", e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore, risultando, per converso, necessario, a fini di usucapione , la manifestazione del dominio esclusivo sulla "res" da parte dell'interessato attraverso un'attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene (
Cass. 15 giugno 2001 n. 8152).
Come si traduce in pratica questo principio? In sostanza: quando il possesso può essere considerato tale da consentire
il decorso del tempo utile a far maturare l'usucapione?
Un esempio ci aiuterà a comprenderne al meglio la portata. S'ipotizzi che in un edificio in condominio esiste un
locale destinato ad ospitare la caldaia condominiale. A seguito della
dismissione dell'impianto centralizzato e della conseguente rimozione della caldaia, uno dei condomini se ne appropria non solamente depositandovi beni di sua esclusiva proprietà ma ponendo una serratura che gli consenta l'accesso esclusivo. In questo caso,
se nessuno degli altri comproprietari si lamenta di tale condotta, essa è sufficiente per far maturare l'usucapione dei termini sopra descritti. È sempre bene, quindi,
nell'ambito della normale gestione del condominio, far presente che determinati comportamenti posti in essere da alcuni condomini sono tollerati dagli altri ma non possono in alcun modo produrre effetti tali da consentire l'acquisto della proprietà esclusiva d'una parte comune.