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Nella separazione tra coniugi la sottoscrizione di un mutuo viene presa in considerazione dai giudici sotto più punti di vista, per poi giungere a diverse e talora opposte conclusioni in ordine alla determinazione degli obblighi di mantenimento.
La presenza di un mutuo può infatti indurre i giudici a limitare o eliminare l'assegno, oppure al contrario può convincere i giudici della possibilità che l'impegno possa e (dunque) debba essere adempiuto.
Ma partiamo dal dato normativo.
Come sappiamo, il coniuge a cui non viene addebitata la separazione, se non può provvedere a se stesso con i propri redditi, ha diritto a quanto necessario al suo mantenimento.
La norma di riferimento è nella materia data in particolare dall'art. 156 c.c., a mente del quale Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri.
L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato.
Resta fermo l'obbligo di prestare gli alimenti di cui agli articoli 433 e seguenti.
In proposito, ai sensi dell'art. 151, co.2, c.c. il giudice nel pronunziare la separazione, dichiara, se vi siano le circostanze e se gli sia richiesto a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.
I doveri che derivano dal matrimonio verso il coniuge sono: l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione (art. 143, co.2).
Inoltre, entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia (art. 143, co.3).
Ci sono poi i doveri specifici verso i figli di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quelli che sono i diritti e doveri dei figli, previsti dall'articolo 315-bis c.c.
Secondo l'art. 315-bis c.c. Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.
Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti.
Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.
Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.
Infine, l'obbligo di alimenti riguarda la soddisfazione delle esigenze più elementari di vita e si distingue dal mantenimento, che invece riguarda anche esigenze non essenziali.
Vediamo dunque alcuni esempi di decisioni girusprudenziali.
Il mutuo può essere considerato indice di debolezza del coniuge più forte oppure, al contrario, di forza economica di questi.
Nel primo senso ha concluso ad esempio la recentissima ordinanza delle Corte di Cassazione n. 22603 del 2015: in essa i giudici hanno ritenuto che le possibilità economiche dei due coniugi, in astratto ben distanti, arrivavano a equivalersi se si andava a sottrarre dalle entrate mensili del coniuge più forte economicamente l'importo che questi già pagava a titolo di mutuo per l'acquisto di una casa.
In particolare, in quel caso si trattava dell'acquisto della metà della casa coniugale dalla moglie, cosa che aveva consentito a quest'ultima di acquistare a sua volta una casa di proprietà in cui abitare dopo la separazione.
La Corte di appello ne ha dedotto che i redditi a quel punto si equivalevano, consentendo ai due una vita dignitosa e non dissimile da quella precedente del matrimonio.
Veniva in conclusione del tutto rigettata la richiesta della moglie di mantenimento a carico del marito.
La decisione non è nuova; ricordiamo che sempre quest'anno, ad esempio, la stessa Corte di Cassazione con la decisione n. 7053, ha cassato, per quanto ci interessa, quella con cui la Corte di appello non aveva valutato, nel porre a raffronto le situazioni economiche dei due coniugi, l'esborso sostenuto da quello dei due economicamente più forte per il pagamento (dell'intera rata) del mutuo contratto per acquistare la casa di cui entrambi erano comproprietari (per completezza riportiamo che la casa che era stata assegnata alla moglie insieme con i figli minori, anche se non vi abitavano).
Allo stesso modo, sempre la Corte di Cassazione ha riconosciuto nel 2010, con la sentenza n. 15333, che quello dei due coniugi che paga interamente la rata del mutuo può chiedere la riduzione del contributo di mantenimento; nella specie la Corte ha tenuto in considerazione il fatto che il marito pagava interamente il mutuo dell'abitazione, la quale era stata assegnata alla moglie, pur in assenza di figli, spiegando sul punto che quello sulla presenza del mutuo costituisce un apprezzamento di un fatto sicuramente incidente sulla determinazione del contributo.
Diversamente hanno concluso altre sentenze, ravvedendo nella sottoscrizione di un mutuo un indice di ricchezza valido per assegnare l'obbligo di mantenimento.
In tali casi la sottoscrizione del mutuo viene considerata spesso come indice della presenza di danaro non tracciabile e proveniente dunque da fonti in nero.
Si veda ad esempio, in proposito la sentenza n. 34336 del 2010, della Corte di Cassazione Penale, con la quale viene confermata la condanna per il reato di violazione degli obblighi di assistenza famigliare di cui all'art. 570 c.p.
È chiaro che la presenza del mutuo può assumere un ruolo diverso a seconda delle situazioni.
Essa va valutata insieme con tutti gli altri elementi che costituiscono la fattispecie concreta.
Per completezza riportiamo che anche in sede di divorzio può essere stabilito l'obbligo di corrispondere un assegno, detto appunto assegno divorzile.
Infatti, la Legge n. 898 del 1970 all'art.5, co. 6 prevede che Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
La differenza sostanziale tra i due obblighi di assistenza è data dal fatto che, mentre nella separazione l'obbligo di assistenza deriva dal matrimonio (in questa fase il vincolo non è sciolto, ma sospeso), nel divorzio il vincolo matrimoniale è cessato e l'obbligo di assistere permane, ma è soggetto a condizioni più stringenti.
Anche in questo caso è considerata la differente condizione economica dei due, ma l'assegno è subordinato non solo all'assenza di mezzi adeguati da parte di uno dei due, ma anche al fatto che egli/ella non possa procurarseli per ragioni oggettive.
Ricordiamo che in materia è intervenuta, sempre quest'anno, la Legge n. 55/2015, detta del divorzio breve.
Tale legge ha introdotto tre novità:
- riduzione dei tempi tra separazione e divorzio (da tre anni a dodici mesi per la separazione giudiziale e a sei mesi per quella consensuale (v. art. 1);
- anticipazione dello scioglimento della comunione legale (dalla sentenza di separazione all'autorizzazione a vivere separati, per la giudiziale e al momento della sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purchè omologato) (v. art. 2);
- applicazione delle nuove disposizioni anche ai procedimenti in corso (v. art. 3).
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