|
Un consumatore si rivolge al Giudice di Pace per chiedere la risoluzione di un contratto di vendita di un divano per vizi della cosa venduta.
La richiesta viene accolta, ma il venditore fa appello e il Tribunale gli dà ragione; il consumatore fa quindi ricorso in cassazione, ma qui perde.
In sintesi, la Corte - nella sentenza n. 10456 del 2020 - afferma che bene ha fatto il Tribunale a inquadrare la questione come vizio di conformità non lieve del bene venduto, come tale, compensabile secondo il Codice del Consumo e cioè con i rimedi della riparazione o della sostituzione.
Il consumatore però ha venduto il divano. Dunque, non avendo chiesto la sostituzione e non avendo in grado di appello riproposto la richiesta di riduzione del prezzo, non poteva che concludersi che egli aveva rinunciato a tale richiesta.
Vediamo, quindi, quali sono le questioni trattate nei vari gradi di giudizio e in particolare il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione.
In grado di appello, nel valutare la questione, il Tribunale ritiene che la differenza riguardo al tessuto, tra quello ordinato, il velluto, e quello del divano che era stato realizzato, la moquette, fosse stato accettata dall'acquirente.
Quanto poi alla differenza di tonalità tra il colore richiesto, il verde smeraldo, e quello realizzato, di colore verde marcio, questa non poteva considerarsi un elemento essenziale nell'economia del contratto, perché dall'istruttoria era emerso che l'attore non aveva espressamente richiesto che il colore fosse intonato alla tonalità dei mobili.
In ogni caso, il consumatore non aveva richiesto immediatamente alla consegna la sostituzione, nonostante si trattasse di un elemento facilmente rinvenibile, nè al momento della posa in opera, avendo poi anche comunicato i dati per la fatturazione.
Il giudice d'appello nella sua decisione applica le norme Codice del Consumo (il D. Lgs. n. 206/2005).
In particolare, per quel che qui rileva, quelle dell'art. 132, secondo cui il difetto dev'essere denunciato entro due mesi dalla scoperta.
Questo, salvo che il venditore ne abbia riconosciuto l'esistenza, cosa che nella specie era avvenuta solo per il difetto di tonalità e non anche per i cuscini.
Dunque, non vi era stata denuncia tempestiva del difetto relativo ai cuscini.
Un'altra norma applicata dal Tribunale è contenuta nell'art. 130 del Codice, secondo cui, sempre per quanto qui interessa in caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto alla riparazione o alla sostituzione, ovvero a una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto.
Inoltre, l'ultimo comma dell'art. 130 stabilisce che un difetto di conformità di lieve entità per cui non è stato possibile oppure è eccessivamente oneroso esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione, non dà diritto alla risoluzione del contratto.
Per il Tribunale la differenza di tonalità è un caso di difformità di lieve entità, che quindi non può dare luogo alla risoluzione del contratto, e ciò tanto più che non erano state allegate le foto della mobilia dell'appartamento che, successivamente, era stato venduto unitamente ai mobili.
In conclusione, dal momento che l'attore non aveva chiesto la sostituzione del divano, nè la restituzione, ma anzi lo aveva venduto, l'unico rimedio esperibile rimaneva la riduzione del prezzo. Rimedio che però l'uomo non aveva chiesto nuovamente in grado di appello e dunque tale richiesta si doveva intendere rinunciata.
Il consumatore ricorre quindi in cassazione.
Il ricorso contiene un unico motivo, cioè afferma la violazione e falsa applicazione di alcune norme del Codice del Consumo e cioè gli artt. 129 e art. 130, co. 7 e 10, art. 115 c.p.c.
Secondo il ricorrente il Tribunale ha errato nel qualificare la vicenda, e cioè la consegna del divano di una tonalità diversa da quella richiesta, come vizio di lieve entità, mentre si tratterebbe di una ipotesi di vendita aliud pro alio.
In ogni caso, egli avrebbe chiesto la sostituzione in occasione della consegna del divano di un tessuto diverso da quello ordinato, sì da rendere superflua un'ulteriore richiesta di sostituzione. Il giudice d'appello non avrebbe considerato, infine, i gravi disagi derivanti dalla consegna di un bene affetto da vizi e dai disagi derivanti dal contenzioso promosso nei confronti della società venditrice. Cass. n. 10456/2020
Si si trattasse di vendita di aliud pro alio, si dovrebbe ammettere la risoluzione del contratto.
Per i giudici di Legittimità, però, la contestazione non è fondata.
Essi spiegano che la vendita di aliud pro alio si ha quando il bene consegnato è completamente diverso da quello venduto, in quanto:
appartenente a un genere differente oppure con difetti che gli impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti (Cassazione civile sez. II, 24/04/2018, n. 10045) (Cass. 10456/2020).
Tornando dunque al caso sottoposto al suo esame, la Corte afferma che:
la consegna di un divano dello stesso colore ma di tonalità diversa da quella pattuita non costituisce un vizio tale da impedire l'utilizzo del bene secondo la sua destinazione. (Cass. n. 10456/2020).
Il Tribunale, proseguono i giudici, ha applicato le norme del Codice del Consumo e quindi ha qualificato il vizio denunciato come difetto di conformità, per il quale, come detto, il consumatore può chiedere, senza spese, il ripristino della conformità tramite riparazione o sostituzione, ovvero una riduzione adeguata del prezzo o la risoluzione del contratto.
Quest'ultima, però, è esclusa qualora il difetto di conformità sia di lieve entità e non sia possibile, oppure sia eccessivamente oneroso ricorrere ai rimedi della riparazione o della sostituzione.
Osservano poi i giudici che il Tribunale ha ritenuto si trattasse di difetto di conformità di lieve entità, basandosi sia su un criterio oggettivo, e cioè prendendo in considerazione il fatto che si trattava di diversa tonalità dello stesso colore, sia sul comportamento tenuto dal compratore, il quale subito dopo la consegna, aveva inviato i dati per l'emissione della fattura, senza svolgere alcuna contestazione nè allora né dopo, avendo venduto l'appartamento insieme con il mobilio.
In realtà, osservano i Giudici, il ricorrente non contesta nella sentenza la presenza di un vizio di violazione e falsa applicazione di legge, ma l'apprezzamento del giudice di merito sulle ragioni in base a cui ha ritenuto che si trattasse di un difetto di conformità di lieve entità.
A tali valutazioni, egli contrappone diverse motivazioni di fatto che non possono essere valutate dalla Corte, che è Giudice di Legittimità.
Non vi è quindi una violazione di legge dell'art. 115 c.p.c. – secondo cui per quanto interessa:
salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita (art. 115, co.1 c.p.c.)
Vi è invece una valutazione delle risultanze istruttorie, rispetto a quanto sostenuto dal ricorrente.
In conclusione, dall'istruttoria era emerso che il difetto contestato era di lieve entità, che l'attore non aveva chiesto la sostituzione del divano, nè la restituzione del bene.
Per altro lo aveva venduto e quindi l'unico rimedio utilizzabile restava la riduzione del prezzo, che però non era stata nuovamente richiesta in grado di appello davanti al Tribunale, e dunque (ai sensi dell'art. 346 c.p.c.), si intendeva rinunciata.
|
||