Il lavoro di due architetti olandesi quarantenni mostra come gli oggetti abbandonati o destinati alla discarica possano avere una seconda vita utile ed ecocompatibile.
Viviamo in un mondo squilibrato da criteri di utilizzo delle risorse assolutamente sballati e senza nessuna attenzione al rapporto tra azioni e conseguenze. Consumiamo in maniera forsennata e dissennata risorse naturali aldilà dei nostri reali bisogni, peggiorando giorno per giorno le condizioni del pianeta Terra perché forziamo i naturali cicli di smaltimento con eccessi di rifiuti in materie lavorate e trasformate, parecchie delle quali assolutamente non biodegradabili.
Il problema della gestione del ciclo dei rifiuti, in tutti i suoi aspetti tanto di natura puramente ecologica quanto di settore industriale a tutti gli effetti, rappresenta uno dei punti fermi dell'agenda di tutti i paesi del mondo, perché è vero che il pianeta viaggia a diverse velocità, a seconda del livello di avanzamento tecnologico, ma le ricadute generate dai comportamenti non rispettosi della compatibilità ambientale finiscono per ricadere su tutti, nel breve periodo ed ancor di più in quello lungo.
Mentre il grosso delle risorse è destinato allo studio di soluzioni poco impattanti in materia di smaltimento e di riciclo, c'è chi propone delle intelligenti e provocatorie soluzioni per il riutilizzo di prodotti ormai fuori uso o abbandonati, perché davvero la rifunzionalizzazione, con un pizzico di creatività e di fantasia, può dare nuova vita ad oggetti desueti e destinati alla discarica, riducendo il carico inquinante di tanti oggetti della vita quotidiana.
Questo approccio che unisce praticità, concretezza e fantasia è alla base del lavoro di due architetti olandesi Jan Körbes e Denis Oudendijk, che hanno creato Refunc, da loro stessi definito un laboratorio per l'estensione del ciclo di vita dei prodotti, luogo nel quale si creano strutture sperimentali e si propongono micro architetture i cui componenti base sono prodotti ed elementi prelevati o destinati al rifiuto. Non a caso i due architetti si fanno chiamare Garbage Architects, cioè Architetti dell'immondizia, definizione magari poco elegante ma assolutamente calzante.
Il loro lavoro è molto indirizzato dall'improvvisazione piuttosto che dalle tecniche e dalle tecnologie moderne di progettazione, ed i risultati sono imprevedibili e mai banali, proprio perché risultato di un processo creativo che è assolutamente istintivo, come può essere quello di uno scultore o di un artista in genere. È così che oggetti abbandonati o rifiuti veri e propri riprendono vita, cercando di donare loro una seconda opportunità ispirata dalla natura degli oggetti stessi, dai materiali di cui sono composti, dalla loro storia ed anche dal contesto sociale in cui sono stati creati o sono stati utilizzati.
Dietro il motto Il mondo senza un manuale, i due quarantenni Denis Oudendijk e Jan Körbes hanno messo a frutto le proprie esperienze progettuali di formazione in vari studi di architettura, ma anche e soprattutto i molti viaggi che la loro professione gli ha imposto, viaggi nei quali hanno potuto apprezzare le architetture nate dalla necessità e dalla scarsezza dei mezzi e delle risorse economiche, tipici casi di rifunzionalizzazione presenti tuttora in Europa in alcuni paesi dell'ex blocco sovietico.
La provocazione intelligente dei garbage architects, in fondo, vuole stimolare il pubblico a comportamenti meno consumistici, inducendo ad un maggior rispetto degli oggetti e del mondo di riflesso, tenendo presente che per ogni oggetto riutilizzato, o rifunzionalizzato, si risparmierebbe l'energia necessaria alla produzione di uno nuovo, nonché quella necessaria allo smaltimento a rifiuto di quello che si vuole buttar via.
Tra i lavori presentati, ed ormai diventati di pubblico dominio, diversi sono davvero pratici: un esempio è quello del CapsuleHotel, realizzato nel 2003 all'Aia, che assembla, in una struttura di accoglienza su un canale, diverse capsule di salvataggio delle navi, di quelle del tipo a disco volante, completamente chiuse rispetto all'esterno e dotate di oblò, collegate tra loro con delle semplici corde a creare una sorta di arcipelago. L'hotel, tuttora esistente ed in attività, propone in maniera chiara la filosofia di progetto della rifunzionalizzazione, ne esalta il pragmatismo e la semplicità di attuazione e si propone anche come struttura itinerante, adattabile a tutti i siti in cui vi sono corsi d'acqua in cui allocare le capsule.
Altrettanto innovativo, provocatorio e divertente, per certi versi, è il lavoro di interior design per il Milgro Waste Lab, di fatto un progetto completo, per una società che si occupa di smaltimento dei rifiuti, che prevede un arredo tutto fatto con cassonetti e cassette di vario tipo, colori e dimensioni, mentre gli spazi di incontro, tipo sale meeting e lounge hall, con posti a sedere che vedono il riutilizzo di vecchi sedili di auto rottamate montati su basi in plastica tipiche dei pallets industriali.
Ma il lavoro dei Refunc è decisamente a tutto tondo, e spazia dalla rifunzionalizzazione di vecchi containers all'utilizzo di pneumatici abbandonati per rivestire abitazioni di fortuna, ed anche alla creazione di piccoli oggetti di arredo utilizzando, ad esempio, vecchi estintori scarichi oppure tavoli creati unendo due vecchie sedie, e così via dicendo sulla strada della creatività del riuso.
Per informazioni:
refunc