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Il regolamento condominiale, ce lo dice la giurisprudenza (Cass. n. 12342/1995), con la dottrina concorde, è una sorta di legge interna al condominio, uno statuto della collettività, che si dà delle regole complementari a quelle previste dal codice civile nelle materie indicate dall'art. 1138 c.c., ossia:
L'adozione del regolamento di condominio è obbligatoria solamente se i condòmini sono più di dieci.
L'iniziativa per dotarsi di un regolamento condominiale, ovvero per la sua revisione può essere assunta da ciascun condòmino.
Per l'approvazione della delibera di adozione ovvero di revisione del regolamento sono sempre necessari, cioè tanto in prima quanto in seconda convocazione, il voto favorevole della maggioranza dei presenti all'assemblea e almeno la metà del valore millesimale dell'edificio.
Il regolamento condominiale così adottato è detto regolamento di condominioassembleare il cui contenuto non può andare oltre la regolamentazione degli aspetti della gestione e conservazione delle cose comuni, sinteticamente individuabili nelle macro aree sopra elencate.
Un'altra tipologia di regolamento di condominio è quello di natura contrattuale: con esso si fa riferimento a quell'accordo stipulato tra tutti i condòmini.
Solitamente il regolamento condominiale contrattuale viene predisposto dall'originario unico proprietario dell'edificio (il costruttore) ed allegato ai singoli atti di compravendita.
Nulla vieta, però, che siano i condòmini, in un qualunque momento successivo ad addivenire alla sottoscrizione di un simile documento.
La peculiarità del regolamento di condominio di origine contrattuale sta nel fatto che in esso, essendo un contratto e non semplicemente una decisione assunta in ambito condominiale, possono essere previsti dei limiti ai diritti dei condòmini sulle parti comuni, ovvero sulle proprietà esclusive.
Limitazioni che, come hanno specificato la dottrina e la giurisprudenza, devono essere esplicitate (cioè scritte) in modo preciso, in modo che sia chiaramente comprensibile che cosa e perché si sta vietando, ovvero perché si sta ponendo un limite alla proprietà individuale, ovvero all'uso della proprietà comune. Difficilmente potrebbe essere considerato legittimo il divieto porre antenne per la ricezione del segnale radio-tv sulle parti comuni, ovvero nelle proprietà esclusive, perché tali limite cozzerebbe con il diritto all'informazione, diritto costituzionalmente tutelato.
È opinione comune che i limiti ed i divieti possono stabiliti in due modi:
Guardando alla prima tipologia di limiti e divieti posti in relazione alla destinazione delle unità immobiliari in proprietà esclusiva tra questi v'è certamente quello che impedisce la destinazione ad attività di ristorazione.
È vietata la destinazione delle unità immobiliari in proprietà esclusiva ad attività ristorative, incluse quelle d'asporto, nonché bar e birrerie. Spesso si leggono clausole del genere, i cui divieti sono più o meno estesi, ma che non lasciano spazio a dubbi: il ristorante non s'ha da aprire!
Che tipo di limitazione è questa, una servitù?
No, non pare un peso di tipo reale.
Un'obbligazione propter rem?
Parrebbe di sì: ciò vuol dire che tale divieto non può essere specificamente trascritto presso la conservatoria dei pubblici registri immobiliari, dato che il novero dei diritti trascrivibili è specificamente individuato dalla legge (art. 2643 e ss. c.c.).
Allora, per restare valido ed efficace nel corso del tempo, esso dovrà essere approvato ad ogni compravendita.
Ciò specificato, è chiaro allora che se un condòmino dovesse decidere l'apertura di un'attività di ristorazione in spregio al divieto pattizio riportato nel regolamento, egli andrebbe incontro a sicura chiusura, ove chiaramente i condòmini, anche uno solo d'essi di autonoma iniziativa, si attivasse per addivenire a quel risultato.
Ci sono poi i casi in cui l'attività di ristorazione in sé considerata non è vietata, ma è vietato causare determinati pregiudizi. Come dire: ok il ristorante, ma se dall'esercizio dell'attività derivano rumori molesti, vietati dal regolamento contrattuale, allora se ne potrà ottenere la chiusura. È evidente che per questo genere di divieti è più difficile raggiungere la prova della violazione.
Che cosa succede se il divieto di aprire un ristorante previsto dal regolamento condominiale è infranto non dal proprietario dell'unità immobiliare, ma dal conduttore che ha stipulato un contratto di locazione?
I conduttori, è dato pacifico, devono rispettare il regolamento condominiale al pari dei proprietari.
Dunque, se un conduttore apre un'attività ristorativa laddove sia vietata, allora gli si potrà imporre la chiusura.
Il problema, spesse volte, sorge perché all'affittuario non è stata data notizia del contenuto del regolamento, né in fase di trattative, né al momento della conclusione del contratto.
In tali ipotesi, la questione resta all'interno del rapporto contrattuale tra proprietario e conduttore/ristoratore, il quale certamente avrà diritto ad ottenere i danni per l'omessa determinante informazione e finanche l'annullamento del contratto, qualora ne ricorrano i presupposti.
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