Interessante progetto di recupero di una antica pajara, tipica costruzione trulliforme con muri a secco delle campagne salentine, nel rispetto delle caratteristiche originarie.
Il Salento è una terra splendida, non solo dal punto di vista paesaggistico, ma anche da quello architettonico, come si puo' ben vedere girandola ed osservando le tipiche costruzioni rurali disseminate per la campagna, come la pajara, una maestoso edificio trulliforme costruito in pietra a secco, testimonianza della civiltà contadina pugliese.
Questo tipo di architettura rurale, così come avviene anche per altri esempi diffusi nel nostro Paese, come i sassi materani o i dammusi di Pantelleria, viene oggi recuperata, spesso a fini turistici, ma sempre nel rispetto della tradizione.
Un esempio è rappresentato dal progetto realizzato dall'architetto Luca Zanaroli negli anni 2007-2008 a Morciano di Leuca, in provincia di Lecce.
Lo stesso progettista racconta come, quando si è imbattuto per la prima volta in questo edificio, ne sia stato colpito in particolare dalla sua monumentalità, anche se si tratta di un edificio non di pregio dal punto di vista artistico.
Ma la sua monumentalità è insita soprattutto nella capacità espressiva con cui la sua struttura riesce a manifestare quelle che sono le caratteristiche del territorio in cui è ambientato.
Per questo motivo, nel progetto di recupero, è stato fondamentale rispettare queste caratteristiche.
L'edificio è costituito da due corpi di fabbrica, costruiti in epoche diverse e poi successivamente uniti. Il primo è la vera e propria pajara e risale alla fina del diciottesimo secolo.
Si tratta di una struttura di forma troncoconica a due gradoni, con pianta circolare e volta a cupola. Esso veniva usato come deposito per legna ed attrezzi.
Il secondo corpo venne aggiunto nel corso dell'Ottocento ed è una cosiddetta làmia, edifico a pianta quadrangolare, a sviluppo troncopiramidale e con volta a botte, che veniva usato come rifugio e abitazione stagionale dai contadini del luogo.
Infine, come era frequente, anche qui la costruzione venne affiancata da un forno per la cottura del pane e dei fichi con le mandorle.
Essendo l'edificio abbandonato da anni si presentava in condizioni precarie e il forno era quasi interamente crollato.
L'intervento di recupero ha previsto la sua ricostruzione e utilizzazione come cucina, mentre in un piccolo ampliamento sono stati ricavati un bagno ed un guardaroba.
Tutti gli altri ambienti sono stati collegati attraverso delle aperture praticate nelle spesse murature, superando i dislivelli con delle lievi rampe che non interrompono il senso di continuità tra di essi.
Grande importanza è stata data alla luce naturale ed alla ariosità degli ambienti. Fondamentali, quindi sono stati gli elementi di chiusura che dovevano, sì, garantire la sicurezza, ma che allo stesso tempo dovevano mantenere intatto quel rapporto con l'ambiente circostante che l'architetto intendeva preservare.
Inoltre c'era la necessità di inserirsi nell'architettura preesistente con il minimo impatto, ma differenziandosi da essa per segnare la presenza dell'intervento. Sono quindi stati utilizzati degli infissi in acciaio verniciati a polvere epossidica di colore bianco, leggermente incassati nella muratura, in modo da ridurre il loro impatto.
I pavimenti sono trattati con malta cementizia e gli intonaci con calce e polvere di tufo, materiali tradizionali che permettono di riflettere in maniera naturale la luce proveniente dalle aperture vetrate.
Gli interni sono arredati con pochi pezzi di design degli anni Sessanta e Settanta, alternati a decorazioni povere realizzate con tronchi, conchiglie, rami, sassi disposti nei vasi, appesi alle pareti, accumulati sui tavoli.
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