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Il notaio è tenuto a effettuale visure catastali e ipotecarie?
Secondo la Corte di Cassazione, sì. Il principio è stato espresso, o meglio ribadito, nella sentenza n. 21775 del 29 agosto 2019.
Diciamo che si tratta di principio ribadito perché non è una novità: nel provvedimento, con un excursus, sono infatti richiamati molti dei precedenti nei quali la stessa Corte si è da tempo già espressa in tal senso; anche se le conclusioni contengono degli sviluppi innovativi.
Riportiamo dunque il contenuto della sentenza ripercorrendone sinteticamente i chiari passaggi logico-giuridici.
Partendo con l'excursus, la Corte afferma che è stato affermato da tempo (un precedente citato è del 1969) il principio secondo cui, ove incaricato della stipula di un atto compravendita, il notaio è tenuto a compiere una serie di attività accessorie e successive necessarie per il raggiungimento dell'obiettivo indicato dalle parti, e in particolare delle visure ipotecarie e catastali, al fine di individuare esattamente il bene e di verificarne la libertà.
La precedente posizione, risalente addirittura al periodo del previgente codice civile (l'attuale è del 1942), affermava, al contrario, che il detto obbligo in capo al notaio andava escluso, in assenza di specifico ed espresso incarico.
Quali le norme da cui trae origine tale obbligo?
La Corte osserva che in tempi recenti il fondamento normativo di tale obbligo di visura catastale e di visura ipotecaria è stato rinvenuto nell'obbligo di diligenza che spetta al notaio nell'esecuzione del contratto d'opera professionale; egli non deve semplicemente accertare la volontà delle parti e dirigere la compilazione dell'atto, ma altresì compiere quelle attività preparatorie e successive dirette a garantire serietà e certezza degli effetti tipici dell'atto voluto e del risultato ricercato dalle parti nella pratica.
Il contenuto dell'obbligo di diligenza, si afferma inoltre, è integrato dalla prescrizione di cui all'art. 1374 c.c. secondo cui il contratto obbliga le parti non solo quanto al suo contenuto espresso, ma anche a tutte le conseguenze che derivano da esso secondo la legge, o in mancanza, secondo gli usi e l'equità.
Si è inoltre in varie occasioni statuito che l'obbligo può essere esclusosolo in caso di esonero espresso o urgenza e in tal caso, si è detto, la clausola inserita nella struttura dell'atto redatto non è di mero stile, ma ha un significato ben preciso e deve essere giustificata da esigenze concretamente esistenti.
In ogni caso - si è anche detto – ove, benché esonerato, ove sia comunque a conoscenza, o abbia anche solo il sospetto di iscrizioni pregiudizievoli, il notaio è tenuto a informarne le parti, essendo tenuto a eseguire l'incarico secondo i canoni della diligenza qualificata (ex art. 1176 co.2 c.c.) e della buona fede (ex art. 1375 c.c.).
La Corte qui afferma (allineandosi alla giurisprudenza più recente) che una limitazione al detto obbligo non può rinvenirsi nel concetto di obbligazione di mezzi (cioè di un'obbligazione la cui corretta esecuzione non può misurarsi in base ai risultati conseguiti, ma ai mezzi utilizzati).
Inoltre, afferma che fonte dell'obbligo di effettuare le dette visure non è la diligenza professionale qualificata, cioè la diligenza indicata dall'art. 2236 c.c. con riferimento alle prestazioni d'opera intellettuali (che non contiene un limite dato per esimere il professionista da determinati obblighi, ma solo un criterio per misurarne la diligenza in casi particolarmente complessi); testualmente l'art. 2236 c.c. prevede:
Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave (art. 2236 c.c.)
La fonte del detto obbligo è, invece, secondo la sentenza in commento, il canone generale di buona fede o correttezza di cui all'art. 1175 c.c. (secondo il quale debitore e creditore devono comportarsi secondo buona fede e correttezza); l'impegno imposto dall'art. 1175 c.c., conclude la sentenza, va individuato a seconda del caso concreto, della natura del rapporto e delle qualità delle parti coinvolte e misurato a seconda dell'incarico conferito e dell'obiettivo che le parti con l'operazione intendono conseguire.
Si è anche detto in precedenza che tale obbligo sussiste, oltre che in caso di redazione di atto pubblico da parte del notaio, anche in caso di autentica di scrittura privata scritta da altri e autenticata dal notaio.
L'obbligo di buona fede o correttezza ha infatti, spiegano i giudici, valenza generale.
Il caso concretamente deciso dalla Corte con la citata sentenza n. 21775, riguardava un atto di compravendita tra due società: a seguito di ricerche presso i registri immobiliari e l'Agenzia del Territorio, era poi risultato che uno dei precedenti “danti causa” (si definiscono così i soggetti che trasferiscono il diritto) non era stato proprietario; nel giudizio successivamente instauratosi, il giudice qualificava l'atto come vendita di cosa altrui a causa della errata trascrizione di un titolo di acquisto.
Pur avendolo qualificato come un caso di vendita di bene altrui, il giudice di primo grado aveva però escluso la responsabilità del notaio, avendo affermato che egli, nello svolgere l'incarico, aveva adottato la dovuta diligenza.
Conclusione ribaltata dalla Corte che, alla luce di vari elementi, giunge invece ad affermare la responsabilità del notaio.
Per quanto attiene alle visure, argomento che qui interessa, la Corte esclude altresì che esse prospettino problemi di particolare difficoltà; nella fattispecie, peraltro, le visure poi sono state successivamente eseguite, me delle riscontrate anomalie non era stata data alcuna informazione al cliente e, erroneamente, si era proceduto ugualmente a rogare l'atto richiesto.
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